La nave Mar Jonio della Ong Mediterranea, battente bandiera italiana, è alla fonda nei pressi di Lampedusa, dopo aver recuperato un gruppo di migranti in acque di competenza libica e aver disatteso le indicazioni pervenute dalle autorità italiane. Il braccio di ferro tra le Ong e il governo italiano si rinnova: le prime determinate a forzare i porti chiusi e riprendere le attività di recupero dei migranti in mare, specie nella buona stagione, il secondo fermo sul contrasto al soccorso in mare utilizzato per agevolare i flussi migratori.
In questo quadro si inserisce la direttiva firmata ieri dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, con oggetto la sorveglianza delle frontiere marittime e il contrasto all’immigrazione illegale. Nel documento si evidenzia il rischio di infiltrazioni criminali o terroristiche tra i migranti e si prende atto che, dai casi concreti di soccorso verificatisi in acque internazionali, sono emersi molti elementi sintomatici di una strumentalizzazione da parte dei trafficanti dell’attività di salvataggio, con l’obiettivo dell’ingresso irregolare sul territorio nazionale dei migranti.
Il ministro dell’Interno descrive attentamente il sistema posto in essere. Navi battenti bandiera straniera o nazionale soccorrono i migranti in acque di competenza non italiana e disattendono le direttive delle autorità preposte al soccorso sulla base delle regole internazionali, effettuando il recupero di propria iniziativa e dirigendosi poi verso le frontiere marittime europee. Le navi interessate, nonostante effettuino il soccorso in acque non di responsabilità italiana, richiedono un “luogo sicuro” di approdo a quest’ultime e, benché ricevano un diniego, navigano autonomamente e deliberatamente verso le frontiere marittime europee e, segnatamente, verso le coste italiane.
Questo avviene nonostante che le coste italiane non risultino essere gli unici possibili luoghi di approdo sicuro, considerato che i porti libici, tunisini e maltesi sono più vicini e possono offrire adeguata assistenza logistica e sanitaria; e in violazione delle regole internazionali, che implicano un potere degli Stati costieri di regolamentare l’accesso di imbarcazioni nelle acque territoriali. Secondo la ricostruzione del ministro dell’Interno, nel caso in cui il soccorso dei migranti si sia verificato in acque di responsabilità libiche e sia stato compiuto d’iniziativa da una nave soccorritrice, senza il coordinamento delle operazioni da parte delle autorità italiane, non ci sono i presupposti per indicare un “luogo sicuro” di approdo in Italia.
Accade tuttavia che i comandanti, pur in assenza delle condizioni per ottenere l’indicazione del “luogo sicuro” in Italia, conducano comunque l’imbarcazione verso le coste italiane. In tali casi, osserva la direttiva Salvini, l’azione delle imbarcazioni interessate risulta finalizzata al trasferimento sul territorio italiano di migranti irregolari soccorsi nel mar mediterraneo, facendo ricorso strumentale alle convenzioni internazionali sul diritto del mare in materia di soccorso e violandone contestualmente le complessive disposizioni.
In sostanza, le condotte delle navi costituiscono, secondo la direttiva, attività contraria al diritto del mare e pregiudizievole per il buon ordine e la sicurezza dello stato costiero, in quanto finalizzata all’ingresso di persone in violazione delle leggi sull’immigrazione in Italia e a rischio criminalità e terrorismo. Salvini ha chiarito inequivocabilmente la posizione del governo. Ora il conflitto con le Ong si sposta sul piano giuridico, con il possibile coinvolgimento della magistratura.