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Punto su punto, perché il dossier Cina mette l’Italia in trappola. L’analisi di Talia

La Cina è un Paese che parla esplicitamente di legare la propaganda all’intelligenza artificiale e la tecnologia militare a quella civile: per cui è lecito preoccuparsi.

Così Antonio Talia, analista e editor per una serie di media specializzati, affida a Formiche.net la sua lettura sul dossier Via della Seta. L’esperto di Cina, autore degli ebook I giorni del dragone (Informant, 2012) e Singapore connection (Informant, 2013), insieme a Gianluca Ferraris, mette l’accento sul fatto che il golden power sulla tecnologia 5G ha senso nel momento in cui si proteggono dei dati sensibili e delle infrastrutture strategiche. Questi i banchi di prova su il governo di Roma dovrebbe interrogarsi per evitare la trappola del debito.

L’adesione alla Via della Seta mette in discussione la collocazione euro atlantica dell’Italia?

Per rispondere occorre analizzare la strategia cinese che viene esposta in alcuni documenti ufficiali. La Belt and Road Initiative ha in sé un hardware che è quello delle infrastrutture e un software con un’impronta ideologica ben precisa, stimolata da una personalità molto rilevante del Partito Comunista Cinese, come il professor Wang Jisi, fondatore dell’Istituto Internazionale Cinese per gli Studi Strategici: è colui che ha elaborato la dottrina della marcia verso ovest. L’idea è che la Cina non si faccia intrappolare in giochi “a somma zero” dagli Stati Uniti nel sud est asiatico, ma ribatta guardando a ovest.

Con quali riverberi?

Significa, in maniera generale, stringere una serie di accordi guardando all’Europa con la logica che se gli Usa provano a contrastarli nei quadranti “alle porta di casa”, allora la risposta è con un’azione dall’altro versante. Tutto ciò fa da pandant ad una congiuntura economica precisa della Belt and road. Essa è finanziata da vari fondi controllati da altri soggetti che ad esempio sovraintendono alla riserva di valuta estera cinese, o come The Export-Import Bank of China che si occupa di raggiungere accordi bilaterali con gli Stati. Sono questi i players che sono diventati protagonisti di quei dossier delicati (come lo Sri Lanka) che tengono banco sulla stampa internazionale. Il timore è che chi vi aderisca possa essere poi attirato nella cosiddetta trappola del debito.

Una trappola in cui può cadere anche l’Italia?

Da alcune indiscrezioni filtrate sul Financial Times, l’Italia dovrebbe siglare un accordo con una banca di sviluppo a trazione cinese, la Banca Asiatica d’Investimento per le infrastrutture (Aiib), che al suo interno contiene 64 Paesi e che, secondo alcuni analisti, è la risposta cinese alla Banca Mondiale. Se chi finanzia le nuove infrastrutture italiane nella Belt and road dovesse essere la Aiib, si tratterebbe di un istituto che garantisce una serie di protocolli compatibili con le regole europee. Tuttavia vi sono diversi interrogativi.

Quali?

Quelli che verranno sollevati nel consiglio europeo del 21 marzo, in contemporanea alla visita di Xi in Italia. Il primo verte sulla reciprocità. Facendo mente locale su ciò che accade in Cina, sui porti possiamo osservare che gli operatori stranieri sono esclusi nelle rotte cinesi e nell’acquisto degli stessi cinesi. Inoltre la Camera di Commercio dell’Ue in Cina ogni anno produce un report in cui si lamenta sistematicamente per un “campo da gioco non equilibrato”, con uno strapotere delle imprese locali che molto spesso sono legate a doppio filo con lo Stato. Per cui è vero da un lato che si tratta di un memorandum e non di un trattato, come ricorda Palazzo Chigi, ma dall’altro un’eventuale messa in discussione della posizione euroatlantica dell’Italia passa attraverso diverse strade.

Una di queste potrebbe essere il memorandum?

Dipenderà dal suo contenuto. Potremmo analizzare i casi analoghi al nostro che in Europa toccano la Grecia e l’Ungheria.

Ma Atene ha poi saldato i propri rapporti con gli Usa in chiave anti orientale con il dossier-gasdotti…

Sì, ma al contempo su alcune risoluzioni in sede europea per i diritti umani in Cina ha votato contro assieme all’Ungheria. Per cui c’è anche una moral suasion di qualche tipo. Se poi si osserva cosa il Partito Comunista Cinese esprime come visione, sul loro bimestrale è in uscita un articolo di Xi in cui si ragiona sulla saldatura tra propaganda e intelligenza artificiale. Un qualcosa che riguarda anche alcuni dei prodotti di Huawei. Un insieme di spunti che si inseriscono nel mega piano di sviluppo China 2025 che punta ad una Cina non più manifatturiera ma capace di produrre proprie tecnologie. Al suo interno c’è un capitolo dedicato all’integrazione tra tecnologie militari e civili. Per cui esistono molti punti sui quali, secondo me, è più che legittimo preoccuparsi.

Il governo rafforza il golden power sulla tecnologia 5G: un errore?

Ha senso nel momento in cui si proteggono dei dati sensibili e delle infrastrutture strategiche. Bisogna tenere conto di queste linee guida accanto al quadro già citato: ovvero che la Cina è un paese che parla esplicitamente di legare la propaganda all’intelligenza artificiale: è qui dentro la risposta a tutto. Poi è chiaro che possiamo discutere delle linee generali.

Come i patti su porti di Genova e Trieste? Quali benefici apportano in chiave mediterranea e di “proiezione” africana?

Da un punto di vista geopolitico, è vero che Pechino ha un ruolo sempre più importante nelle nazioni africane, ma da qui a dire che l’intento del governo italiano è quello di ridurre l’immigrazione grazie alla Cina mi sempre distante dalla realtà: non è un interesse della Cina. Da un punto di vista logistico, invece, vendere più merci italiane sul mercato cinese è un obiettivo annunciato. Ma bisognerà valutare quanta reciprocità è stata esercitata fino ad oggi e quanta ci sarà davvero, da domani, prima di trarre conclusioni.

twitter@FDepalo

 

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