Sembrava imminente lo scorso 15 febbraio la adozione da parte del governo nazionale di un testo normativo secondo quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, contenuto nell’ormai molto noto Titolo V della Costituzione, approvato anche con il referendum popolare del 2001.
Ma dapprima la progressiva insurrezione delle Regioni meridionali (a partire dalla Campania); quindi la percezione delle molto rilevanti conseguenze per le amministrazioni della Capitale; infine la significativa protesta di alcune delle maggiori città italiane (come Milano, Napoli, Palermo ed altre città ancora capoluogo di Regione) hanno finito con il dar vita ad una più lunga e matura definizione dell’insieme dei problemi che l’originaria iniziativa di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna aveva posto in evidenza.
Occorre infatti sempre aver presente il fatto che il Titolo V aveva finito con l’introdurre, tra le tante, una straordinaria novità: la competenza concorrente tra Stato e Regioni. Ed invero né la Costituzione originaria, né le due riforme costituzionali successive al Titolo V, peraltro bocciate con il referendum del 2006 (governo Berlusconi di centro-destra) e del 2016 (governo Renzi di centro-sinistra), non si erano mai spinte sino a prevedere competenze legislative concorrenti tra Stato e Regioni.
La questione del regionalismo differenziato finisce pertanto nel porsi soltanto con il vigente titolo V perché si tratta di una sorta di “tertium genus” tra le originarie Regioni a Statuto speciale e le altrettanto originarie Regioni ad autonomia ordinaria.
Se pertanto la soluzione originaria del titolo V (dovuta molto probabilmente al tentativo del centro-sinistra di ostacolare il rientro della Lega Nord ad una alleanza con Forza Italia), dovesse diventare definitiva dovremmo finire con il considerare che il regionalismo differenziato tende per sua natura a fare delle Regioni ordinarie una specie particolare di Regioni ad autonomia speciale anche se non a Statuto speciale.
Ed è proprio questa la ragione specifica di quella sorta di “groviglio istituzionale” che le questioni tipiche del regionalismo differenziato hanno posto e stanno ponendo alle forze politiche di governo e di opposizione.
Queste infatti non si limitano soltanto alla riorganizzazione complessiva dello Stato in Italia, perché il processo di integrazione europea a sua volta ha già notevolmente ridotto i poteri statuali (basti pensare al commercio internazionale e alla moneta unica) e sta progressivamente accentuando la dimensione della sicurezza cibernetica come dimostra in particolare il dibattito in corso sul Memorandum di intesa con la Cina.
Basti considerare a tal riguardo che materie concorrenti tra Stato e Regioni sono anche quelle relative a: “Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni” e quelle concernenti “il commercio con l’estero”. Quindi risulta di tutta evidenza che finirà con l’assumere un grande rilievo la indicazione delle materie per le quali la Regione chiede l’autonomia speciale sulla base del terzo comma dell’articolo 116.
Si tratta pertanto della indicazione delle materie per le quali dovrà darsi risposta al momento in cui governo e Regioni stipuleranno l’intesa, ben sapendo che per la definitiva entrata in vigore occorre l’approvazione della maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
Si tratta dunque della prima delle decisioni politiche ed istituzionali alle quali governo e Regioni sono chiamati. E basti pensare che nel lungo elenco delle materie concorrenti (come è noto sono 23) compaiono sicurezza del lavoro; istituzioni scolastiche; tutela della salute. Per non parlare dell’ambiente, dell’eco sistema e dei beni culturali, che stanno via via assumendo rilievo sempre più crescente, come dimostra da ultimo la rilevantissima marcia promossa da Greta.
I più rilevanti problemi nazionali pertanto concernono da un lato il rapporto tra la Capitale e le Regioni, dato il rilievo evidente delle attuali dimensioni delle strutture amministrative centrali, a partire dai ministeri; e dall’altro il rapporto tra le Regioni e i comuni del nostro Paese, con particolare rilievo per le città più grandi. Si tratta da questo punto di vista di una sostanziale rilettura del territorio nazionale e della concezione stessa della “statualità”.
Per quel che concerne la dimensione europea appare di tutta evidenza che si tratta di una questione molto delicata tra la rigida difesa della sovranità nazionale nella prospettiva dell’approfondimento del processo di integrazione europea. Mai come in questo caso infatti occorre riuscire a trovare un punto di equilibrio nuovo tra sovranità nazionale e integrazione europea.
Vi è pertanto da augurarsi che il dilatarsi del tempo delle decisioni aiuti a definire questo insieme di nuovi equilibri, da un lato all’interno dello Stato nazionale, e dall’altro nel rapporto tra Stato e Unione europea. Non si tratta soltanto o prevalentemente di questioni tecniche, ma, con tutta evidenza, di questioni prevalentemente politiche anche se con evidenti risvolti tecnici.
E basti rilevare le questioni anche soltanto preliminari delle modalità di finanziamento delle nuove competenze regionali, per capire che siamo in presenza, ancora una volta, dell’annoso problema del rapporto tra Nord e Sud.