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Tutti in surplace, chi si muove è perduto. Cosa ci dicono le elezioni in Basilicata

Settembre 1955, velodromo Vigorelli di Milano. Antonio Maspes affronta l’olandese Jean Derkens nei quarti di finale del campionato del mondo di ciclismo su pista. Lo sconfigge anche grazie a quei leggendari 32 minuti di surplace, che lo lanciano verso la vittoria finale ma, soprattutto, lo fanno diventare un mito vivente del suo sport.

Surplace, ovvero l’arte di fermare la bicicletta restando sui pedali in attesa della mossa dell’avversario. Surplace, ovvero la situazione in cui si metteranno un po’ tutti i protagonisti della politica italiana dopo il voto della Basilicata. Già perché non è affatto vero che questi risultati sono l’anticamera del cataclisma, proprio per le caratteristiche intrinseche dei dati usciti dalle urne.

Cominciamo da Salvini, il vincitore indiscusso. Pur essendo contraddittoria la sua situazione (alleanze diverse a livello nazionale e locale) continua a vincere su tutti i fronti: non sarà lui a staccare la spina. Poi c’è Forza Italia, che continua a lamentarsi (lo fa anche Tajani oggi nell’intervista al Corriere) ma, in fondo, si gode la condizione di esistenza in vita: di questi tempi è già molto. Sull’altro fronte c’è la sinistra con il “nuovo” Pd di Zingaretti che mostra segni di recupero, ma comunque perde le sfide nelle regioni una dopo l’altra (e dovrà lottare per non finire ko in Piemonte, Emilia Romagna e Calabria). Infine c’è il grande malato della politica italiana, cioè il M5S. Titolare dei gruppi parlamentari più forti, il movimento guidato da Di Maio tutto può fare tranne che harakiri, per il semplice fatto che si finirebbe alle elezioni anticipate con esito tragico e fine della leadership del giovane ministro.

Ecco perché dalla Basilicata si esce con una sorta di “ibernazione” della situazione, che naturalmente va intesa sul breve periodo, perché il lungo in politica non esiste. Ed ecco perché anche dal voto europeo potrebbe non uscire la “pistola fumante”, cioè la prova regina che spiega la necessità di una rottura. Basta fare un giro a Montecitorio per capirlo: gli eletti di tutti i gruppi commentano avidamente risultati e proiezioni, ma nessuno ha il pallino per provare a “cucire” nuovi equilibri. Insomma il sistema non è, allo stato, in grado di implodere.

Solo un fattore esterno può far esplodere la situazione: i delicati equilibri internazionali ad esempio (oggi meno rilevanti che in passato), oppure la situazione economica, con annessa difficilissima manovra di bilancio da scrivere (e da anticipare nel Def a breve). Manovra di bilancio che, tanto per essere chiari, incrocia in modo formidabile il tema delle autonomie regionali, su cui c’è massima tensione a tutti i livelli.

Si rileggano con attenzione le parole del prof. Conte di ieri: ormai il premier ha acquisito dimestichezza con la politica e non parla a caso. E ieri ha parlato di questo governo e niente più.


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