Dire soap opera è poco. La Tav sta diventando ogni giorno che passa qualcosa di sempre più scivoloso per il governo gialloverde e pericoloso per l’Italia tutta. Non è più tanto una questione del fare o non fare la Tav, non solo almeno. Una sottile linea rossa è stata silenziosamente varcata dall’esecutivo, portandolo in una palude dalla quale sarà difficilissimo uscire. Il rischio vero adesso, e qui ha ragione il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è far fuggire chi ha deciso in passato, o ha intenzione di farlo a breve, di investire nel nostro sistema Paese. Non bisogna mai e poi mai dimenticare che l’Italia è un Paese che vive della fiducia degli altri: con un debito sovrano di 2.300 euro, collocare la nostra esposizione sotto forma di Btp è pressoché vitale. E se gli investitori si abituano al fatto che ogni tanto le carte vengono rimescolate, che si tratti di un binario o di un’industria poco importa, e tutto precipita irrimediabilmente nel caos, è la fine.
Con la diffusione dell’analisi costi-benefici redatta dal pool di esperti coordinati da Marco Ponti (che imputava alla Tav perdite per 7 miliardi di euro), sulla Torino-Lione sembrava essere scesa improvvisamente una cortina di fumo. Perché il Movimento Cinque Stelle aveva finalmente ottenuto quelle pezze d’appoggio sulle quali costruire il muro contro l’opera. Da quel momento la questione Tav si è trasformata in un’autentica guerra di cifre tra la Lega, favorevole all’opera e il Movimento Cinque Stelle. L’ultima dimostrazione è arrivata proprio oggi, quando sul tavolo del premier Giuseppe Conte, è arrivata una mini-analisi costi-benefici a integrazione del primo documento: le perdite italiane con la Tav si sarebbero ridotte da 7 a 3,5 miliardi di euro.
Nel supplemento alla prima indagine, infatti, sarebbero state scorporate dal conteggio le spese che dovranno sostenere la Francia e l’Ue. Ma nonostante la riduzione dei costi, il Movimento Cinque Stelle continua a dirsi profondamente contrario all’opera. Adesso è saltato fuori il jolly, la cosiddetta mini-Tav (che il vicepremier Luigi Di Maio ha bollato come “super-cazzola”). Di che si tratta? Semplicemente di un tracciato rivisto, lavori (in parte) meno invasivi, investimenti ridotti.
Una soluzione che potrebbe consentire al Movimento 5 Stelle di salvare almeno la faccia, intestandosi il merito di aver “ridiscusso il progetto” come previsto dal contratto di governo, e alla Lega di mettere a segno un altro colpaccio, evitando di rinunciare a un’opera sulla quale si è spesa molto. Gli scontenti, in questo caso, rimarrebbero soltanto due: i No Tav, secondo cui l’opera non va fatta e basta, e il Piemonte che si vedrebbe messo all’angolo visto che vuole la Tav per intero. Il progetto, infatti, prevederebbe di abolire il tunnel tra Avigliana e Orbassano e, qui, di escludere dal tracciare lo scalo merci, l’incrocio dove ferro e gomma si scambiano le merci. Un inter-porto oggi agonizzante ma che in futuro sarebbe dovuto diventare il fulcro del traffico piemontese.
Eppure non basta. Perché per il premier, di fare la mini-Tav non se ne parla nemmeno. Conte “non ha aperto a nessuna ipotesi di mini-Tav né ha mai richiesto un ulteriore contributo all’analisi costi-benefici dell’opera, contributo che è stato invece sollecitato dal Mit”, hanno fatto sapere da Palazzo Chigi. Insomma, no alla Tav del ministro per le Infrastrutture Danilo Toninelli e no alla mini-Tav di Conte e sì alla Tav di Salvini. E allora? L’unica certezza rimane la volontà del Pd di sfiduciare il titolare dei Trasporti. “Presenteremo una mozione di sfiducia per Toninelli che ha bloccato i cantieri in tutta Italia, ha preso in giro gli italiani e per essere stato di fatto commissariato”, ha annunciato la capogruppo Pd in commissione Trasporti della Camera Raffaella Paita. L’impasse rimane e per un Paese che sopravvive grazie alla fiducia altrui non è buona cosa.