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Tim, Cdp sale all’8,7% e apre la strada alla rete unica

gubitosi

Nemmeno un mese fa il ceo di Cassa Depositi e Prestiti, Fabrizio Palermo, lo aveva detto: auspicare la nascita di reti tlc convergenti. Detto, fatto, la fusione tra le rete Tim e quella del palyer pubblico, Open Fiber, si avvicina sempre di più. Il peso dello Stato dentro l’ex monopolista oggi nelle mani di Luigi Gubitosi dopo l’addio di Amos Genish, continua infatti a farse sempre più forte.

Da un filing inviato alla Sec, la Consob statunitense, è emerso infatti che Cassa depositi e prestiti è salita ancora nel capitale dell’ex Telecom e ora ha raggiunto l’8,7%. L’ultimo aggiornamento, una settimana fa, attestava invece la cassa al 7,1%. Un cammino però nel solco di quanto indicato dallo stesso board di Cdp, che ha più volte paventato la possibilità, ormai più una certezza, di portarsi al 10%. Il che costituirebbe di fatto un blocco importante in ottica rete, visto che la Cassa è azionista al 50% di Open Fiber insieme all’Enel.

La Cdp all’ultima assemblea di Tim deteneva il 4,9% di Tim ma aveva di fatto preannunciato la sua crescita. All’inizio del mese aveva comunicato alla stessa Sec di essere salita al 7,1% per poi arrotondare all’8,7%. Ovviamente in questo modo Cdp si pone ancor di più come ago della bilancia tra Elliott e Vivendi in Tim favorendo la costituzione della rete unica.

Elliott, che dentro Tim pesa per il 9,5% e che da sempre caldeggia la fusione tra la rete Tim e quella per la fibra di Open Fiber, condividendo l’orientamento del governo, può infatti ora contare un alleato prezioso per scavallare il muro posto da Vivendi, che sullo spin off ha dei dubbi ma che pur sempre rappresenta con il 24% il primo azionista della società. Sommando però la partecipazione di Elliott a quella di Cdp, il blocco che ne nasce può mettere all’angolo in francesi.

La mossa di Cdp è comunque destinata a sparigliare un po’ le carte in vista della prossima assemblea di Tim, visto che è iniziato il conto alla rovescia che porta all’assise: una nuova sfida sulla governance tra i due soci forti, Vivendi e il fondo americano, forte del sostegno dei grandi fondi come il Canada Pension Plan Investment Board (3,13%).

La settimana prossima i soci, oltre infatti a votare il bilancio e il dividendo solo alle azioni di risparmio, sono chiamati ad approvare la relazione sulla remunerazione, a conferire l’incarico di revisore fino al 2027 ma la discussione si accenderà sul sesto punto all’ordine del giorno, la revoca – chiesta da Vivendi – di cinque amministratori: il presidente Fulvio Conti, Alfredo Altavilla, Massimo Ferrari, Dante Roscini e Paola Giannotti De Ponti per sostituirli con Franco Bernabè, Rob van der Valk, Flavia Mazzarella, Gabriele Galateri di Genola e Francesco Vatalaro.

I francesi avrebbero voluto arrivare al redde rationem già un mese fa ma il cda, e il collegio sindacale ha confermato la corretta valutazione fatta, ha deciso di convocare una sola assemblea, facendola coincidere con quella sul bilancio. A quel punto, si vedrà se il blocco Cdp-Elliott riuscirà a mettere un freno a Vivendi.

 

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