“Gli Stati Uniti esortano l’Italia a vagliare con attenzione gli accordi sugli scambi, sull’investimento e sugli aiuti commerciali per essere certi che siano economicamente sostenibili, operabili in base ai principi dell’apertura e dell’equità del libero mercato, nel rispetto della sovranità e delle leggi”, l’avviso lo lancia il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, tramite un portavoce che ha parlato con l’Agi. È un messaggio diretto, affidato a una delle principali agenzie stampa italiana per essere riferito a Roma, su cui è ovvio il contesto: Washington è impegnato in un pressing — da una settimana è diventato pubblico — per avvisare, o meglio dissuadere, l’Italia che nei prossimi giorni potrebbe firmare un accordo d’adesione alla Belt and Road Initiative, infrastruttura geopolitica con cui Pechino si sta lanciando verso l’Europa.
Il lavorio americano — che si inserisce nel grande confronto globale contro la Cina, quadro in cui gli Stati Uniti vogliono la collaborazione degli alleati migliori — nelle ultime settimane è salito di livello. Un processo che dura da mesi, con Washington che ha registrato spostamenti non graditi sull’asse italiano, e ha mobilitato le attività diplomatiche, politiche, di intelligence ed economiche per far capire a Roma che con la Cina “si fa sul serio” e saranno valutate conseguenze sul disallineamento.
L’aumento di queste pressioni americane è iniziato da gennaio, quando in Italia è arrivato il ministro degli Esteri cinese per preparare il terreno alla visita di stato del presidente Xi Jinping. Da lì, la possibilità che l’Italia firmasse l’adesione alla Bri proprio alla presenza del capo di stato cinese s’è fatta più concreta, e il forcing americano è diventato pubblico. Prima il portavoce del Consiglio di Sicurezza (Nsc), poi una dichiarazione del Nsc stesso (organo in cui la Casa Bianca pianifica la strategia della presidenza), adesso il dipartimento di Stato.
Pompeo (tra l’altro un italo-americano parte del caucus politico dei nostri oriundi, uno dei gruppi bipartisan più potenti a Capitol Hill) ha parlato nel keynote speech che ha aperto la Cera Energy Week organizzata da Ihs Markit a Houston, inserendo il passaggio sull’Italia a margine del discorso sulla politica energetica globale (tema dell’evento) in chi ha attaccato la Cina su vari campi (l’ha accusata per esempio di aver bloccato lo sviluppo dei Paesi che si affacciano nel Mar Cinese, dossier geopolitico in cui il confronto Usa-Cina è continuo). “Ci preoccupano l’opacità e la sostenibilità della Belt and Road Initiative”, ha detto uno dei suoi portavoce all’agenzia stampa italiana, spiegando (qualora ce ne fosse ancora bisogno, ndr) che la questione che interessa gli Stati Uniti è geopolitica e strategica, non di carattere economico-commerciale.
Per Pompeo l’Italia “ha tutto il diritto di realizzare infrastrutture di alta qualità e migliorare le connessioni con altri Paesi”, così come Washington non è intenzionato a ingerenze sul settore business, a meno che questo genere di relazioni non si porti dietro contraccolpi di carattere politico. Gli americani da tempo spiegano che il punto non è fare affari con la Cina — lo fanno tutti, e gli Stati Uniti stessi stanno faticosamente cercando di chiudere un importante accordo commerciale con Pechino. Il problema è formalizzare l’adesione alla Bri, che gli americani vedono come un elemento strategico per la Cina, una delle carte che il Dragone sta giocando nella rincorsa per sorpassare gli Usa nella gara tra potenze globali.
Pompeo ha ricordato i rischi che l’Italia corre buttandosi troppo sui cinesi (rischi già segnalati in altri paesi e situazioni dove la Cina è entrata con investimenti per poi rivendicare influenze politiche). Per il segretario, lo sviluppo italiano collegato a investimenti esteri è un “processo che può avvenire solo mantenendo la propria sovranità. Solo a queste condizioni le alleanze con altri Stati posso giocare un ruolo positivo per realizzare i propri obiettivi economici e garantire uno sviluppo sostenibile”.
(Foto: Twitter, @SecPompeo)