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Trump ferma le esercitazioni congiunte con la Corea del Sud e intanto pensa a Kim (e alla Cina)

intelligence

Stati Uniti e Corea del Sud sospendono (almeno temporaneamente) le principali esercitazioni congiunte sul territorio sudcoreano, che erano da decenni un appuntamento annuale che coinvolge a rotazione circa 200mila militari di Seul e più di 30mila americani. Lo scenario lo ha delineato direttamente il presidente statunitense Donald Trump, con uno dei soliti tweet: “Il motivo per cui non voglio esercitazioni militari con la Corea del Sud è quello di risparmiare centinaia di milioni di dollari per gli Stati Uniti per i quali non siamo rimborsati. Questa era la mia posizione molto prima che diventassi presidente. Inoltre, ridurre le tensioni con la Corea del Nord in questo momento è una buona cosa!”.

Doppio obiettivo raggiunto con una singola azione, dunque, per la Casa Bianca. L’idea profonda della presidenza Trump di riequilibrare l’impegno americano nel mondo passa anche da certe situazioni: per un presidente abituato a chiudere affari e ragionare in termine commerciali – con la politica estera che è diventata molto collegate a queste due argomenti – l’importante presenza militare americana in Corea del Sud è costosa e poco remunerativa. Qualche tempo fa Washington aveva già strappato a Seul (non troppo soddisfatta) un accordo per aumentare la condivisione delle spese del contingente della Uskf, le Us Korea Forces fatte di circa trentamila uomini con logistica e assetti collegati.

Allo stesso tempo, Trump, rinunciando all’investimento economico rappresentato dalle esercitazioni con i sudcoreani, manda un messaggio a Pyongyang. L’ultimo grande incontro col dittatore nordcoreano Kim Jong-un si è chiuso male, il presidente americano ha battuto la ritirata quando ha visto che non c’erano estremi concreti per un qualche genere di accordo sulla denuclearizzazione. Kim chiedeva l’eliminazioni della sanzioni, ma gli Stati Uniti tengono il punto fermo su questa linea: niente prima di passi concreti sul programma nucleare del Nord. Le esercitazioni invece sono un altro argomento: per i nordcoreani sono la dimostrazione del pericolo che l’alleanza tra Sud e Usa rappresenta, collegate alla guerra formalmente non chiusa degli anni Cinquanta, e su cui Kim (e prima di lui tutta la sua dinastia) basa la necessità di dotarsi di un deterrente nucleare difensivo.

Lo stop alle esercitazioni con la Corea del Sud permette a Trump di avviare un riequilibrio con l’alleato asiatico usando un campo che a Seul – dove governa un presidente, Moon Jae-in, che è il vero motore della fase negoziale in corso col Nord – può anche essere utile (e infatti, il ministro della Difesa sudcoreano, Jeong Kyeong-doo, e il suo omologo americano Patrick Shanahan, hanno avuto una telefonata ieri in cui, secondo la nota ufficiale del Pentagono, “entrambe le parti hanno deciso di concludere la serie di esercitazioni Key Resolve e Foal Eagle”).

Il Palazzo Blu non è in disaccordo sull’alleggerimento della presenza militare americana sul proprio territorio, per ragioni di sovranità e perché permette a Moon di giocare più carte durante i suoi contatti con Pyongyang. Contemporaneamente Trump riesce a far passare la sua decisione nell’ottica dell’America First, segnando però un passo verso Kim, più potabile dell’eliminazione delle sanzioni, con cui non mandare all’aria la relazione che Washington ha stabilito in questo ultimo anno con il regime nordcoreano.

Il messaggio che arriva a Pyongyang è che quelle esercitazioni col Sud non servono in questo momento, perché i nordcoreani sono degli interlocutori (e dunque perché simulare azioni militari contro di loro?). Seul è contenta perché trova una sponda per il prossimo incontro Moon-Kim, e in fondo (se vogliamo terzo degli obiettivi centrati con un solo colpo) anche i cinesi ringraziano. A Pechino, alleata di Pyongyang, non è gradita la presenza militare americana nel Pacifico (di cui la Uskf rappresenta uno degli asset principali) e in questo momento in cui i negoziatori americani stanno lavorando con le controparti in Cina per trovare un qualche accordo commerciale, ridurre certe tensioni “è buona cosa”, come dice Trump.

 

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