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Perché Usa e Russia si incontreranno a Roma per risolvere la crisi in Venezuela

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L’Italia è uno dei pochi paesi occidentali che non figura tra i 53 che hanno dato sostegno esplicito a Juan Guaidó, presidente dell’Assemblea nazionale venezuelana autoproclamatosi a capo del paese il 23 gennaio per interrompere la mortifera dittatura chavista di Nicolas Maduro. Aspetto delicato che ha creato squilibri interni a Roma e altri rimbrotti dagli alleati internazionali, ancora non abituati alle posizioni che il governo gialloverde assume via via.

Tuttavia, è forse per questo ruolo sfocato italiano che Stati Uniti e Russia, i due principali attori esterni sulla scenografia della crisi venezuelana, hanno fissato per oggi e domani un appuntamento di contatto a Roma.

Nella capitale italiana arriveranno infatti l’americano Elliot Abrams, delegato speciale della Casa Bianca pro-Guaidó, e il russo Sergei Ryabkov, che sta gestendo il dossier per Mosca, alleata del regime chavista e partner economico di Caracas. Posizioni agli antipodi tra due potenze piuttosto distanti su diversi argomenti (la scorsa settimana, per esempio, gli Stati Uniti, insieme ai paesi di quella che il dipartimento di Stato ha definito la “Transatlantic Communitiy” hanno alzato nuove sanzioni contro la Russia per le aggressioni contro l’Ucraina sul Mar d’Azov).

Roma è percepita come territorio (semi)neutro per questi incontri: c’è la storica posizione atlantista italiana abbinata alle più nuove inclinazioni russe di alcuni elementi del governo attuale, visioni che spesso sfociano in ambiguità – per esempio: il 30 gennaio il sottosegretario agli Esteri grillino, Manlio Di Stefano, ha dichiarato che l’Italia non riconosce Guaidó perché non vuole creare ingerenze con cui “Paesi terzi possano determinare le politiche interne di un altro paese”, mentre il 2 febbraio l’altro sottosegretario quota Lega, Guglielmo Picchi, ha detto che Maduro non avrebbe ricevuto “nessuna solidarietà da Roma, perché non ti riconosciamo come presidente”, invitandolo a lasciare il potere per andare a “elezioni subito”.

La due giorni di incontri che inizia nella tarda mattinata odierna è curata già dai preparativi – anche per via di quelle distanze tra le due anime governative romane – dall’ambasciatore Pietro Benassi, consigliere diplomatico del premier Giuseppe Conte. Nel quadro del contatto Washington-Mosca, non sfugge la differente agenda con cui gli inviati dei due paesi si muoveranno con Roma: Abrams chiederà, quantomeno informalmente, all’Italia di sposare la posizione pro-Guaidó dopo la delusione americana per l’auto-esclusione italiana dal gruppo di 24 paesi Ue che danno sostegno al neo-presidente; Ryabkov l’opposto, cercherà nel governo italiano la sponda, forse la principale oltre a quella cinese, per salvare il salvabile del regime.

Reciprocamente i due invece cercheranno una strada condivisa per portare il paese a qualche forma di transizione di potere il meno violenta possibile. Elezioni, percorsi costituenti, un’uscita decente per Maduro e i suoi fanatici. È in corso un’intensa diplomazia – legata all’interesse economico produttivo che le materie prime venezuelane rappresentano, ma anche al contesto politico particolare del paese. Nei giorni scorsi, per esempio, il ministro degli Esteri di Guaidó era in Grecia, dopo una tappa ad Abu Dhabi.

Spostamenti anche conseguenti all’annuncio con cui Guaidó ha dichiarato che d’ora in poi tutti gli accordi economici-commerciali dovranno passare per l’Assemblea nazionale, che invece Maduro aveva svuotato di poteri. Intanto, nei giorni scorsi, la Banca interamericana per lo sviluppo è diventata – col plauso statunitense – la prima istituzione finanziaria internazionale a riconoscere un ruolo a un uomo di Guaidò, Ricardo Hausmann, ratificato come rappresentante del Venezuela dopo essere stato indicato dall’autoproclamato presidente.

 

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