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Chi vedrà e cosa farà Xi Jinping in Italia, oggi l’arrivo a Fiumicino

cina xi jinping

L’aereo del Presidente cinese Xi Jinping arriverà a Fiumicino oggi nel tardo pomeriggio. Da lì si trasferirà al Grand Hotel Parco dei Principi, dove la sua delegazione, composta da quasi duecento persone, farà base. È un luogo sicuro, abbastanza vicino all’Ambasciata cinese e sufficientemente distante da Palazzo Margherita, sede dell’Ambasciata americana: i cinesi ci tengono a questa distanza sia per ragioni tecniche, temono intercettazioni visto l’attenzione che gli americani danno alla visita di Xi in Italia, sia per questioni simboliche; i due Paesi sono impegnati in un confronto globale per il ruolo di prima potenza mondiale del prossimo futuro.

La tre giorni italiana inizierà a metà mattinata di domani con la cerimonia di benvenuto che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ospiterà al Quirinale.

Dopo una conferenza stampa congiunta, Xi nel pomeriggio si recherà a Palazzo Giustiniani per un breve incontro privato con il presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati e, rapidamente, passerà alla Camera dei Deputati per un incontro con il presidente della Camera, Roberto Fico. Da lì si sposterà a Palazzo Barberini, per la sessione congiunta di chiusura (sarà presente anche Mattarella) del Business Forum, del Forum Culturale e di quello per la Cooperazione in Paesi terzi – quest’ultimo è da sempre uno degli elementi di interesse per l’Italia: creare, con la Cina e magari attraverso il progetto Nuova Via della Seta, scenari di cooperazione con cui accedere a business in Paesi per ora più distanti.

Tornato al Quirinale, il Presidente cinese sarà ospitato per la cena di gala, “cravatta nera/abito tradizionale cinese” dice il programma. Sono dettagli fondamentali: la prima giornata tocca tutte le tre principali cariche istituzionali italiane, e dà al viaggio di Xi la dimensione di visita di Stato. Pechino gradisce trattamenti protocollari.

Per esempio, uno dei motivi per cui pare sia slittato il summit con il presidente americanoDonald Trump, previsto a fine mese in continuità con lo spostamento italiano di Xi, è che gli Stati Uniti non hanno dato questa dimensione alla visita. Il presidente cinese sarebbe stato ospitato nel ritiro informale di Trump in Florida, in cui i due leader avrebbero dovuto firmare simbolicamente un accordo sul Commercio (che in realtà è ancora in divenire: altro motivo dello slittamento), ma Xi non gradiva l’approccio business-related della visita, voleva che si rispettassero tutti i protocolli tra Capi di Stato.

La mattina di sabato 23 marzo, per il cinese in Italia è previsto – dopo un passaggio simbolico all’Altare della Patria – l’incontro col premier Giuseppe Conte a Villa Madama, sede di rappresentanza della presidenza del Consiglio (e del ministero degli Esteri, che ha curato la visita insieme allo Sviluppo economico, una particolarità rispetto al normale procedimento in questo caso da imputare ai collegamenti che il Mise ha con la Cina). Questo con Conte dovrebbe essere il momento fatidico dell’intera visita, perché il programma prevede una “cerimonia per la firma di accordi e intese”. Possibile che quindi arriverà in questo segmento la firma del memorandum di intesa con cui l’Italia aderirà alla Belt & Road Initiative cinese (Bri).

Si tratta del passaggio molto contestato che in questi dieci giorni ha interessato i media italiani, anche perché gli Stati Uniti hanno apertamente dichiarato che ritengono l’adesione di Roma al piano con cui Pechino sta costruendo un’infrastruttura geopolitica proiettata verso Ovest, come una sorta di tradimento. Elemento che potrebbe mettere in discussione l’amicizia e la collaborazione tra Roma e Washington.

Da quando il ministro degli Esteri cinese è stato in Italia, a gennaio, si sa che il governo italiano ha intenzione di firmare il memorandum durante la visita di Xi. Questione che dà a un’intesa che si basa su principi non eccezionalmente pregni di contenuti, un valore politico-simbolico che è proprio l’aspetto detestato da Washington.

Pressioni pubbliche e più discrete sono in atto da parte di Stati Uniti e altri alleati italiani per scoraggiare Roma alla mossa. Il principio di fondo su cui si basano queste contestazioni è: si possono fare affari con la Cina senza necessariamente aderire alla Bri. In quel modo si riuscirebbe a tenere separato l’aspetto economico da decisioni di politica estera, che è la linea difensiva che il governo italiano sta faticosamente cercando di tenere. Oggi, per esempio, il Foglio pubblica estratti del discorso tenuto dal ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, per l’occasione dell’apertura della Global Market Conference della banca Jp Morgan a Parigi: Le Maire cita l’adesione dell’Italia al progetto cinese come “un fattore destabilizzante”.

Sotto il punto di vista del business, gli eventuali accordi che il codazzo di top manager che Xi si porterà dietro riusciranno a chiudere con il mondo dell’economia e del commercio italiano saranno più interessanti del memorandum. Possibilità oltretutto per investimenti reciprochi, che dal prossimo anno potranno usufruire del maquillage che Pechino ha imposto al sistema di gestione degli investimenti stranieri in Cina. La giornata forse più importante per questi lavori è quella in cui Xi sarà presente al Business Forum: venerdì pomeriggio, prima della cena di stato, ma è ovvio che la visita sia ricca di incontri a latere non inseriti ufficialmente in agenda.

Nel primo pomeriggio di sabato, Xi si trasferirà a Palermo. L’idea della tappa siciliana sembra sia stata del sottosegretario al Mise, Michele Geraci, palermitano cinese (vive da anni in Cina), motore per il governo italiano dei link con Pechino: gli insider governativi lo dicono abbastanza apertamente, parlano in forma discreta, ma parlano con tutti e tutti sanno le stesse cose; come nel caso dell’agenda del viaggio. Il governo italiano in questo momento sta passando molto materiale ai giornalisti cercando una qualche forma di trasparenza sulla visita, con cui magari smentire dichiarazioni come quelle del dipartimento di Stato americano in cui si critica come “opaco” l’accordo d’adesione con la Cina.

Il motivo della sosta a Palermo non è chiaro, anche perché l’unico che ne ha parlato è stato il ministro del Mise, Luigi Di Maio (titolare di Geraci), che ha detto che si dovrebbe andare in Sicilia per “i porti del Sud”, sebbene è noto che i cinesi siano più interessati a quelli settentrionali, come Trieste o Venezia (dove si intersecano le rotte marittime e terrestri della Bri) o Genova. Direttive verso il Nord Europa. Nel sud hanno già il Pireo, grande hub greco in mezzo al Mediterraneo di cui una società statale cinese è proprietaria.

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