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Xi a Roma? Il primo passo per la conquista cinese dell’Occidente. La versione di Steve Bannon

Bannon

Tre camionette della polizia da un lato, altrettante dall’altro. Agenti in borghese che transennano la strada, uomini della sicurezza che sigillano la porta. Sembra la scorta del presidente cinese Xi Jinping, atteso oggi nella capitale. E invece lì, dentro la biblioteca Angelica, c’è Steve Bannon, l’ex capo stratega di Donald Trump alla Casa Bianca, ora accolto (con alterna fortuna) dai sovranisti d’Europa per dar manforte alla causa in vista delle elezioni di maggio. Lo ospita Lettera 22, l’associazione fondata da Gennaro Sangiuliano e ora presieduta da Paolo Corsini. Un breve colloquio con i giornalisti, uno ad uno, e poi l’entrata in scena, col solito gusto per la teatralità. Con in mano una lattina di Red Bull Bannon si fa strada in mezzo al pubblico, due dita a fare il segno dell’ok come fece a suo tempo Winston Churchill. Sulla stessa scrivania dove cinque secoli fa Martin Lutero meditava le sue tesi per la Riforma, oggi un altro “eretico” tiene lezione.

È la prima tappa ufficiale del suo tour romano. L’ennesima nella continua spola fra gli Stati Uniti e la capitale, una città “più importante della sua stessa essenza fisica”. Da questa scaletta Bannon raramente si discosta se non per prendere un po’ di aria buona nella Certosa di Trisulti, abbazia in Ciociaria riconvertita a scuola di ultraconservatorismo (l’istituto Dignitatis Humanae) con la benedizione del cardinale Leo Burke e di Benjamin Harnwell.

All’Angelica ci sono volti noti della Rai come Gennaro Sangiuiano e Giampaolo Rossi, ma danno buca i colonnelli dei partiti che finora gli hanno dato corda, Lega e Fratelli d’Italia. Sarà perché il movimento transazionale con cui vuole coagulare i sovranisti del Vecchio Continente, “The Movement”, ha sofferto una defezione dopo l’altra negli ultimi mesi e ha perso il supporto pubblico del Carroccio. Tant’è che di Matteo Salvini non c’è traccia. Il leader leghista però è citato di continuo. E spesso in aperto contrasto con l’alleato pentastellato, Luigi Di Maio.

È il caso del dossier cinese, che occupa gran parte dell’arringa bannoniana. “Che amara ironia che il mio discorso coincida con la visita a Roma di Xi” esordisce lo stratega”. Poi la stoccata ai Cinque Stelle, i più decisi fautori dell’intesa cinese che Bannon vede come fumo negli occhi. “Mi sorprende che un partito che tiene così tanto all’ambiente possa caldeggiare un accordo con il più grande inquinatore della Terra”. Xi, pronto ad essere accolto con ogni onore nella Città Eterna, non è altro che “il dittatore totalitario del sistema politico più crudele al mondo”. La stampa italiana non ha colto il segno della sua visita, dice Bannon. “Vi assicuro che non è venuto qui per un porto nell’Adriatico. La Cina ha una strategia rapace per il dominio sul mondo. BRI, Made in China 2025 e la corsa al 5G di Huawei darà loro il dominio totale del manifatturiero”. Altro che cooperazione win-win e sostegno all’export made in Italy. L’obiettivo ultimo di questi ambiziosi progetti è “creare una rete manifatturiera dove gli schiavi in Cina potranno produrre beni di massa per disoccupati e sottocupati in Europa, loro saranno i produttori e tutti gli altri saranno i fornitori di materie prime o componenti”.

La seconda ragione al cuore della visita italiana di Xi? Il Vaticano, chiosa Bannon, che affonda una raffica di colpi sul Papa e la curia romana. “Il Papa ha firmato un accoro segreto col governo più ateo del pianeta, ha conferito al governo, comprese le sue frange più radicali, la facoltà di selezionare i vescovi, è stata una svendita dei martiri cristiani in Cina”. Vi svelo un segreto, dice Bannon, “in quel testo c’è un tratto che apre a un esplicito riconoscimento diplomatico fra Partito Comunista cinese e Vaticano”. Di qui l’appello del guru sovranista: “Papa Francesco, rendi trasparente quell’accordo”.

Lanciato un duro monito last minute ai gialloverdi, Bannon può tornare a tessere le lodi di quello che definisce “l’esperimento” del secolo. Un partito di sinistra e uno nazionalista insieme, contro le élites. Più che un esperimento è un rimorso, visto che l’ex stratega della Casa Bianca avrebbe voluto fare lo stesso in patria, coagulando i supporters di Bernie Sanders con la base trumpiana. Il governo gialloverde è stato perfetto nel suo primo anno? “No – spiega Bannon – è andato a scosse, ma mostratemi un altro governo nel mondo che riesce a trovare un compromesso fra due filosofie economiche opposte, fra reddito di cittadinanza e flat tax”.

Dopotutto quello italiano non è l’unico esecutivo “populista” ad aver qualche problema. Il pensiero vola a Downing Street e ai guai di Theresa May: “Non concordo con il modo in cui ha portato avanti i negoziati, ma datemi un motivo per cui un primo ministro inglese dovrebbe oggi recarsi in ginocchio a Bruxelles da gente come Juncker, Moscovici, Tusk”. Anche l’amministrazione Trump ha i suoi bastoni fra le ruote, e uno più grande degli altri, si chiama Russiagate. Bannon, che formalmente non ha più rapporti col Tycoon, è appena stato a Washington, dove ha incontrato di persona l’ospite d’onore della Casa Bianca, il presidente del Brasile Jair Bolsonaro. “Se Trump supera i prossimi sei mesi di indagini vincerà le elezioni con più stacco del 2016”. La concorrenza democratica non mancherà, ma non fa paura. “Beto ha qualche chances, ma non sottovalutate quel vampiro di Hillary Clinton. Quando i dem capiranno di non riuscire a trovare un accordo lei tornerà in campo e vincerà le primarie”.



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