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Zingaretti, il raccoglitore di cocci

zingaretti

Onore al compagno Zingaretti, che nel corso del suo appassionato intervento di questa mattina ha delineato il suo “nuovo” Pd.

Gli fa onore innanzitutto avere rivendicato il suo essere irriducibilmente, fragorosamente e psicologicamente legato a un’idea di partito in continuità con la storia novecentesca della sinistra italiana ed europea.

Zingaretti ha usato le parole “cambiare”, “novità” e “nuovo” dozzine di volte nel suo discorso, ma le ha inserite in uno schema politico totalmente “classico”, quello che la sua generazione ha studiato, amato, praticato.

D’altronde, come spesso accade, il contesto spiega molto. C’è uno Zingaretti in camicia azzurra al podio, con ampie concessioni alla fatica del parlare in modo appassionato (da cui le vaste macchie di sudore). C’è una sala davanti a lui non grande e non piccola, ma comunque abbastanza anonima, perfetta per un movimento di medio-grandi dimensioni che ama le riunioni in versione tradizionale. C’è la nomenklatura del partito in prima fila, con i rivali sconfitti nei gazebo (Martina) a pochi centimetri da chi ha avuto massime responsabilità di governo (Gentiloni).

Insomma un Pd che prova a fare pace con se stesso dopo lo tsunami renziano, sinonimo di successo inebriante per una certa fase ma anche di feroci contrapposizioni interne, sconfitte elettorali ad ogni livello e, soprattutto, nemico mortale per molti di quelli che oggi sostengono Zingaretti.

Ci sono gli studenti, i diritti civili, il senso dello Stato, la lotta alla mafia nel discorso del segretario. C’è un rapporto da ritrovare con i sindacati, con le organizzazioni d’impresa, con i movimenti di ultima generazione a cominciare da quello per la difesa dell’ambiente che è sceso in piazza proprio questa settimana.

Ma tutto questo per Zingaretti deve succedere attraverso il suo “nuovo” Pd, che vuole essere moderno ma in assoluta continuità (anche di struttura organizzativa) con l’idea di partito forgiata nelle temperie del ‘900.

È un cifra stilistica quella del governatore, che è anche un modo per ribadire che la sua generazione è saldamente al comando e considera fenomeni come il M5S incidenti di percorso, in qualche modo incoraggiati da chi (ogni riferimento a Renzi è assolutamente voluto) ha cercato nuove vie finendo per avvantaggiare gli avversari, consentendo loro di spingersi fino a conquistare il governo.

È un partito plurale quello di Zingaretti, ma, appunto, un partito. Non è un movimento liquido, non è una folla pronta a seguire il leader, non è una rete che si tiene insieme su istanze tematiche. È insomma l’esatto contrario di quello che fanno i gialli e i verdi (ormai quasi blu) al governo e, tutto sommato, anche l’esatto contrario dell’idea di organizzazione politica che incarna Matteo Renzi.

Basta dedicare un momento alle due iniziative simbolo che Zingaretti mette in cantiere sul finire dell’intervento. Appoggia ufficialmente l’idea di Romano Prodi di fare del 21 marzo una giornata di orgoglio europeo (esponendone la bandiera alle finestre) e annuncia il suo omaggio con corona di fiori a Porta San Paolo (dove si è recato subito dopo la fine del discorso), luogo simbolo della resistenza romana contro i nazi-fascisti.

Due iniziative in piena continuità con gli usi della casa, che servono a rimettere a posto le cose, a ritrovare un’anima, un senso e (forse) anche un popolo. Zingaretti sceglie così la via della prudenza (come ha sempre fatto nella sua vita politica), sceglie di raccogliere i cocci come primo compito del suo mandato. È compito serio e nobile, certamente non sufficiente per prendere il 40 % alle elezioni.

Ma quella è un’altra storia, prima ci sono molte ferite da rimarginare.


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