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La svalutazione interna, ovvero provare a tenere in piedi i conti dell’Italia

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Può essere la ”risposta bilanciata” il toccasana che porterà l’Italia fuori della crisi? Che consentirà di salvare capre e cavoli: non far crescere deficit e debito oltre i livelli di guardia. Se non proprio accontentare, almeno non scontentare, i falchi della Commissione europea. Azzoppare, ma solo di poco, una congiuntura che tutto fa, meno che brillare. Un compromesso che alla fine risulterebbe in qualche modo accettabile, se non fosse per le ferree regole della politica che, in campagna elettorale, diventano aculei nella carne viva dei contendenti?

Si spiegano allora le reazioni, questa volta univoche e convergenti, di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, contro il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Il quale, candidamente, durante la sua audizione al Senato aveva sostenuto che nel Def: “l’aumento IVA è confermato in attesa di misure alternative”. Un vero e proprio voltafaccia, dopo giorni di tira e molla. Durante i quali aveva cercato di dividersi, come il dottor Jekyll e Mr. Hyde, tra il tecnico che considerava possibile una simile scelta e il membro del Governo che la escludeva.

Non s’ha da fare: questa la risposta dei due “quasi amici”, dopo i calci sotto la tavola nei giorni precedenti. Più determinato, forse, Luigi Di Maio che non solo esclude qualsiasi aumento, ma inseguendo la proposta della “tassa piatta” del suo concorrente, ribadisce la volontà di ridurre il carico fiscale sul ceto medio. Matteo Salvini ha, invece, il problema di non delegittimare oltre misura il ministro dell’Economia. Esclude, ancora una volta, ogni ipotesi di aumento. Ma poi aggiunge: “il ministro dell’economia da sempre deve avere nella prudenza la sua dote migliore”. Al tempo un buffetto è il dire: “non spetta a lui”.

Naturalmente scatenate le opposizioni. La stessa Confindustria, per bocca del suo presidente, Vincenzo Boccia, non alza un muro, ma chiede una riforma complessiva del sistema fiscale che punti allo sviluppo. Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno visto nelle dichiarazioni del ministro del Tesoro la conferma delle critiche da tempo avanzate. C’è una sorta di gioco delle parti, il tentativo di nascondere un fallimento da tempo enunciato. Che le parole di Tria hanno definitivamente svelato. Anche se resta da capire quale possa essere la portata reale di quel progetto. Vale a dire della possibilità di utilizzare anche lo strumento del “bilanciamento” per contribuire ad attenuare la crisi italiana.

L’idea di fondo è quella di rimodulare le diverse aliquote di imposta, la cui architettura risente del tempo trascorso. Attualmente esistono tre diversi livelli di imposizione: 4 per cento per i prodotti di prima necessità, soprattutto quelli alimentari; 10 per cento per alcuni servizi, come quelli turistici o l’edilizia e 22 per cento quella ordinaria. Si tratterebbe allora di restringere la zona del 10 per cento per recuperare gettito. Sicuri tra l’altro di ottenere il placet europeo: da sempre favorevole a spostare la tassazione sulle cose, piuttosto che sulle persone. Purtroppo i margini finanziari sarebbero limitati. Non più di 700 milioni, secondo calcoli recenti. Ma il punto è iniziare. Poi, strada facendo ed in mancanza di alternative, si potrebbe osare di più e recuperare somme maggiori.

Si entrerebbe così in quella che viene definita come “svalutazione interna”. L’aumento dell’Iva colpirebbe infatti le importazioni, ma non le esportazioni, favorendo le imprese che hanno mercato. Emerge in questo modo un possibile piano per l’anno in corso, composto da un mix di elementi: un po’ più di imposte, qualche taglio grazie alla spending review, un maggior impegno nel privatizzare qualche asset non strategico, una maggiore benevolenza della Commissione europea. Ed alla fine una qualche quadratura del cerchio. Può funzionare? Forse nel brevissimo periodo. Ma nel lungo? Nessun timore: per quella data, come diceva Keynes, saremo tutti morti.

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