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L’Alleanza Atlantica festeggia e guarda al futuro. L’evento al Centro studi americani

Settant’anni portati benissimo, ma gli obiettivi di sicurezza e stabilità sono tutt’altro che raggiunti. Alle minacce tradizionali, su cui svetta l’assertività russa a est, se ne sono aggiunte di nuove. All’orizzonte emerge con una certa prepotenza il Dragone cinese, con livelli di avanzamento tecnologico ormai pari a quelli dell’Occidente. Non bisogna abbassare la guardia dunque, ma anzi serve ricalibrare l’impegno collettivo. È quanto emerso dall’evento “Nato at 70 – Present and future challenges”, organizzato a Roma dal Centro studi americani (Csa) in collaborazione con l’ambasciata Usa in Italia e la delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato, presieduta dal deputato pentastellato Luca Frusone, tra i protagonisti delle diverse tavole rotonde che si sono alternate.

L’EVENTO

Dopo i saluti del presidente del Csa Giovanni De Gennaro e dell’ambasciatore americano Lewis Eisenberg (che ha richiamato il governo italiano su Cina ed F-35), i lavori sono stati aperti dal sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo. Per la sessione del pomeriggio, il keynote speech è stato affidato a Giuliano Amato. Tra gli altri, sono intervenuti gli ambasciatori Giulio Terzi di Sant’Agata e Alessandro Minuto Rizzo, i professori Paolo Calzini e Vittorio Emanuele Parsi, il senior director per European affairs dell’Aspen Institute Marta Dassù, il vice direttore generali Affari politici e sicurezza alla Farnesina Diego Brasioli e il generale Luciano Portolano, capo di Stato maggiore del Comando alleato di Napoli.

L’IMPEGNO ITALIANO

“L’Italia guarda alla Nato come l’organizzazione di rifermento per la sicurezza dell’area euro-atlantica”, ha chiarito il sottosegretario Tofalo. “Dal 4 aprile 1949 siamo presenti in tutte le fasi storiche dell’Alleanza e ne seguiamo attivamente ogni sua evoluzione, consapevoli della necessità di dover governare assieme a tutti gli Stati membri le complessità del cambiamento globale, le sfide presenti e quelle future”, ha aggiunto. In tal senso, l’Italia ha spinto e ottenuto la creazione di una nuova direzione strategica dell’Alleanza, l’Hub di Napoli, di “importanza crescente” secondo Tofalo per guardare “al fianco Sud e al Mediterraneo”.

TRA 2% E CYBER-SECURITY

Le nuove minacce si muovo però trasversalmente anche sul fronte cibernetico. “La Nato – ha notato il sottosegretario – deve esser considerato il luogo strategico dove i Paesi possono ragionare e creare le linee guida per una sempre più forte difesa collettiva”. Una prospettiva sposata da Luca Frusone, presidente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato, che ha ricordato la proposta italiana di conteggiare anche la cyber-security nel noto 2% del Pil da destinare alla Difesa. Su questo, nel suo intervento, l’ambasciatore americano Lewis Eisenberg è stato piuttosto chiaro, riprendendo la linea del presidente Donald Trump sul rispetto degli impegni assunti in Galles nel 2014. Un obiettivo, quello del 2%, su cui l’Italia non si vuole tirare indietro. Per raggiungerlo, ha aggiunto Frusone, l’approccio è prima di tutto culturale. Occorre spiegare al grande pubblico che “la difesa è qualcosa che riguarda tutti noi; solo così il 2% diventa una spesa necessaria”.

IL TEMA DEI VALORI…

D’altra parte, il contesto geopolitico presenta una crescente imprevedibilità, condita dal complesso sovrapporsi tra minacce vecchie e nuove. Di fronte a ciò, come settant’anni fa, “l’Occidente è unito al centro di un sistema che si pone come alternativo ad altre realtà politiche e sociali”, ha detto il presidente del Centro studi americani Gianni De Gennaro. L’Alleanza poggia su “valori da difendere”, su “vincoli di natura internazionale che non devono essere legati soltanto a contingenti interessi politici, perché altrimenti non hanno la capacità di durare nel tempo”.

…E DEL RAPPORTO CON L’UNIONE EUROPEA

In tal senso, risulta prioritario indirizzare nella maniera corretta il rapporto tra la Nato e la nascente Difesa europea. “L’Unione europea e la Nato hanno missioni diverse, ma le due istituzioni non devono essere all’antitesi”, ha spiegato De Gennaro. In altre parole, “il piano strategico di dotarsi di un’autonoma capacità di difesa nei prossimi dieci anni non deve mettere in discussione l’importanza dell’Alleanza”, che dalla Difesa europea dovrà essere piuttosto “completata e ampliata in portata e ambizione”, ha rimarcato il presidente del Csa. Ciò significa evitare duplicazioni e ambizioni, ma anche schivare le ambizioni di quei Paesi (Francia in testa) che leggono la Difesa europea come il piano per slegare il Vecchio continente dall’alleato statunitense.

LA NATO TRA MOSCA E PECHINO

Sul fronte delle minacce, in cima alla lista della Nato resta l’assertività russa sul fianco orientale. Vittorio Emanuele Parsi ha ricordato l’allargamento delle strategie di Mosca, attiva anche nella costruzione di alleanze triangolari in Medio Oriente (con Iran e Turchia) e in America latina, a partire dal Venezuela. Eppure, come evidenziato dall’ambasciatore Eisenberg, sta emergendo con forza anche un altro competitor: Pechino. Proprio l’emersione del Dragone e gli sforzi da esso compiuti sulle nuove tecnologie aprono “una nuova epoca della competizione globale”, ha notato il professor Paolo Calzini. Si tratta, ha aggiunto, “di una sfida in un terreno nuovo, anche su quello su cui l’Occidente è sempre stato a guidare”. Rispetto alla Guerra fredda, infatti, in cui l’avversario non presentata livelli di avanzamento tecnologico paragonabili a quelli occidentali, la Cina “rischia di essere una potenza completa”. Si è detta d’accordo Marta Dassù, ricordando come tra gli esperti d’oltreoceano vada sempre più di moda l’espressione “high-tech cold war”, con riferimento proprio al confronto con Pechino. La Cina, ha spiegato l’esperta, “sarà il nostro vero competitor”, mentre con la Russia restano ipotesi di riavvicinamento che “solo il tempo” potrà svelare.

IL TRATTATO INF

Al momento infatti, le distanze con Mosca restano tutte. A renderlo evidente nelle scorse settimana il dibattito relativo al trattato missilistico Inf, da cui gli Stati Uniti sono usciti dopo le ripetute accuse di violazione da parte dei russi. “È importante sottolineare – ha spiegato Diego Brasioli del Maeci – che i vari sviluppi missilistici degli Usa non rappresentano alcuna violazione dei trattati internazionali”. Su questo, ha aggiunto il vice direttore generali Affari politici e sicurezza della Farnesina, vi è “la necessità di trasparenza e di una chiara politica di comunicazione” che faccia fronte al “tranello” di Mosca: “Presentare la Nato e gli Stati Uniti in postura aggressiva”. Il gioco della deterrenza si è infatti fatto più complicato. Da parte loro, ha rimarcato Marta Dassù, “con le evoluzioni sulle mini-testate, Cina e Russia sono tornate a teorizzare il primo uso dell’arma nucleare, rendendo tra l’altro meno netto il confine tra convenzionale e nucleare”.


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