Il Massachusetts Institute of Technology (Mit) ha appena annunciato di aver interrotto i progetti di collaborazione siglati con i colossi cinesi Huawei e Zte, a seguito delle indagini federali che hanno evidenziato presunte violazioni delle sanzioni americane all’Iran da parte delle società (episodi alla base del fermo in Canada della numero due della compagnia, la figlia del fondatore Ren Zhengfei e chief financial officer Meng Wanzhou). Dopo il caso della Oxford University britannica, quindi, anche le università americane iniziano a distanziarsi dai colossi tecnologici cinesi. Prima la Stanford University, poi la Berkeley (ammiraglia della University of California) passando per l’Università del Minnesota, adesso “l’altolà” su Huawei arriva anche da uno dei più prestigiosi atenei tecnologici al mondo.
LA SCELTA
Il Mit, si legge sul sito web dell’università in una dichiarazione co-firmata dalla vicepresidente Maria Zuber, non accetterà nuovi incarichi né rinnoverà quelli esistenti con Huawei e Zte. Una scelta dettata, secondo i media Usa, sia dalle già citate indagini in corso, sia dai numerosi allarmi dell’intelligence e dell’amministrazione americane circa il sospettato sostegno delle compagnie cinesi allo spionaggio economico e tecnologico di Pechino.
LO SCENARIO
Zte, ricorda il South China Morning Post, è stata già costretta ad interrompere la maggior parte degli affari “a stelle e strisce”, dopo che i funzionari del Dipartimento del Commercio americano hanno accusato il colosso cinese di aver illegalmente spedito merci di origine statunitense all’Iran e alla Corea del Nord, nonché di aver mantenuto delle collaborazioni con quest’ultime in violazione della legge americana. Circa un anno fa, infatti, il Dipartimento aveva attivato un divieto settennale di esportazione a Zte, negando alla società cinese l’accesso a componenti e servizi essenziali per smartphone e dispositivi di telecomunicazione. Le sanzioni sono poi state revocate a seguito del pagamento di una ingente sanzione di 1 miliardo e mezzo di dollari, ma ciò non è stato sufficiente a ridurre le preoccupazioni americane, specialmente quelle che riguardano le presunte attività di spionaggio nonché la convinzione che l’obbligo di collaborazione tra aziende cinesi e governo di Pechino rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale americana.
UNIVERSITÀ A RISCHIO?
Il Mit vanta una collaborazione di lunga data con le aziende tecnologiche cinesi, ed è anche citato dal colosso di Shenzhen come collaboratore del Huawei Innovation Research Program (Hirp), un’iniziativa globale definita dalla società sun progetto a supporto di ricercatori e scienziati finalizzata a perseguire collaborazioni in ambito di innovazione. L’innovazione tecnologica, però, in particolare quella che concerne ambiti particolari come le telecomunicazioni e il 5G o l’intelligenza artificiale, inizia ad essere considerata un’infrastruttura critica. A tal proposito, il mese scorso il deputato repubblicano Jim Banks ha proposto il “Protect Our Universities Act”, un disegno di legge finalizzato a creare un elenco di progetti di ricerca “sensibili” (ad esempio quelli legati alla difesa, all’energia e ai servizi di informazione e sicurezza), nonché un organo preposto al monitoraggio della partecipazione di studenti stranieri a tali progetti. La legge non consentirebbe, ad esempio, agli studenti con cittadinanza cinese (rispetto all’arrivo in massa dei quali sono previste sempre maggiori limitazioni) di accedere ai progetti senza una esplicita autorizzazione da parte dell’intelligence nazionale.