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Dopo le elezioni, la Turchia scopre la strategia della tensione

Doveva essere il giorno del trionfo del Chp il più importante partito di opposizione in Turchia. Ma mentre una folla oceanica, come i repubblicani non ne vedevano da un po’, si radunava nella spianata di Yeni Kapi a Istanbul, per festeggiare l’investitura di Ekrem Imamoglu (nella foto) come sindaco, nella capitale Ankara il capo dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, è stato quasi linciato da una folla inferocita che gli urlava “terrorista”. L’anziano segretario del Chp stava partecipando al funerale di un soldato morto al confine con l’Iraq durante uno scontro con il Pkk.

Per i leader turchi di tutti i partiti, è consuetudine andare a porgere le condoglianze alla famiglia e partecipare alle esequie funebri in segno di rispetto per quelle giovani vite sacrificate alla patria. Kilicdaroglu, quindi, aveva già fatto quella cosa in diverse città del Paese decine di volte. Non era mai accaduto nulla di simile, se non qualche sporadica protesta.

Quello che il leader repubblicano si è trovato davanti ieri, è stato senza precedenti. Le immagini mostrano un gruppo di persone che cercano di circondare Kilicdaroglu o lo attaccano, spintonandolo e cercando di colpirlo. Si è evitato il peggio solo grazie alle guardie del corpo che sono riuscite a portarlo in salvo in un angolo non interessato dal corteo. Le forze dell’ordine hanno poi disperso la folla.

Molti commentatori vicini al governo hanno ipotizzato che questa reazione nei confronti di Kilicdaroglu sia dettata dal fatto che il capo dell’opposizione, che viene da Tunceli, è di origine curda e quindi viene percepito come un traditore dagli ambienti più nazionalisti.

Fin qui, la cronaca. Bisogna però spiegare ora perché quest’episodio, già grave di per sé, meriti una lettura più approfondita. Il primo aspetto da considerare è il clima di forte polarizzazione creato nel paese dopo il risultato delle elezioni amministrative, soprattutto quello di Istanbul, che l’Akp di Erdogan continua a contestare ufficialmente, chiedendo che si rivoti. Il secondo, per chi come me non crede alle coincidenze, è che il linciaggio mancato di Kilicdaroglu ha inevitabilmente spostato l’attenzione dalle celebrazioni di Istanbul. E se si contano le polemiche e la guerra nei numeri che caratterizza il risultato elettorale, si direbbe che il partito di maggioranza ce l’abbia messa proprio tutta per silenziare il più possibile una vittoria che già con tutte queste difficoltà ha fatto troppo rumore.

Come se questo non bastasse, bisogna sottolineare che l’Akp in questi giorni è stato particolarmente impegnato da una parte a gettare benzina sul fuoco, dall’altra a fare appello all’unità nazionale, non tanto in un sereno spirito di conciliazione, quanto per sottolineare, ancora una volta, come il Paese sia diviso. Con parole non esattamente concilianti, il ministro dell’interno Suleyman Soylu aveva consigliato a Kilicdaroglu di non presentarsi alle esequie, come se sapesse che la situazione era particolarmente pericolosa.

Ahmet Sik, giornalista di inchiesta di lungo corso, su Twitter ha scritto che in Turchia certe cose non succedono se non hanno l’approvazione della malavita organizzata. Kilicdaroglu, dal canto suo, ha detto che le forze di sicurezza erano insufficienti e che si è trattato un attacco pianificato in anticipo.

Sembra proprio che quello che molti hanno chiamato il nuovo corso della Turchia rischi di trasformarsi in una strategia della tensione continua. Dove lo scontro dalle urne e i palazzi del potere, finisce per le strade.

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