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Perché adottare la tecnologia blockchain? Il dibattito in corso

Di Carmine Coscarella
blockchain

Grandi organizzazioni stanno sperimentando con successo, anche in processi core come le supply chain, l’adozione della blockchain: è il caso di Walmart per la filiera del food, di De Beers per l’autenticità dei diamanti, di Maersk per la logistica dei trasporti marittimi e gli esempi potrebbero continuare ancora.
In sostanza si sta assistendo, come avviene in occasione dei grandi “boom” tecnologici, ad una “corsa alla blockchain”, guidata soprattutto dall’hype creatosi attorno al tema delle criptovalute che si basano sulla catena a blocchi, con la differenza che quest’ultima può esistere ed essere utilizzata con diverse finalità e in maniera indipendente, mentre non è realizzabile il contrario.

Le criptovalute hanno, pertanto, letteralmente spostato l’attenzione di media e società verso l’aspetto economico che il substrato blockchain offre, con particolare riferimento alle ICO (Initial Coin Offering), in parte, seppur minima, milionarie.
Allo stesso tempo, la maggior parte delle definizioni di blockchain ad oggi reperibili sul web riprende termini tecnici quali “database”, “struttura dati” o “registro distribuito”: tutti termini sicuramente corretti, ma finalizzati ad individuare e a precisare l’aspetto tecnologico del paradigma blockchain. Ciò risulta coerente con quello che attualmente rappresenta un ulteriore fine predominante della catena a blocchi, oltre a quello citato in precedenza, ovvero una grande attenzione alle modalità implementative delle DLT cui la blockchain afferisce.

Il focus principale cui stiamo assistendo coinvolge, dunque, principalmente due filoni sintetizzabili ironicamente con: “come diventare ricchi con le criptovalute” e “è la moda di oggi, bisogna usare blockchain” che si traducono, generalizzando, in un filone economico-implementativo particolarmente evidente.
È pur vero che Satoshi Nakamoto, pseudonimo dell’inventore del Bitcoin, nel suo paper “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System” propose, esattamente dieci anni fa, una soluzione al problema della doppia spesa nell’ambito dei pagamenti elettronici (in generale per il trasferimento di valore), ma è altrettanto vero che la soluzione proposta pone alla propria base un insieme di elementi tali da renderne il meccanismo di funzionamento universale: rete peer-to-peer, firme digitali, timestamping, funzioni crittografiche di hash. Tale combinazione consente di ottenere un’organizzazione sequenziale di blocchi di transazioni, i principali elementi della catena, scritti in maniera immutabile su un registro distribuito. La conseguente assenza di un intermediario fa sì che venga meno il dominio centralizzato sull’informazione sia in termini di possesso sia in termini di modificabilità. La distribuzione delle informazioni verso tutti gli utenti evita la presenza in rete di attori assoggettati ad altri, così come il consenso, che segue precise regole, assicura l’irreprensibilità e l’integrità dell’informazione validata sul registro distribuito.
Sono proprio queste le caratteristiche che devono sempre essere mantenute per attuare e rafforzare il paradigma blockchain, pensato per dare lo stesso potere a tutti gli utenti della rete che vi partecipano. Probabilmente il fine di Satoshi Nakamoto non era solo quello di esporre e presentare il concetto di bitcoin, ma quello di offrire la possibilità di guardare oltre la combinazione degli elementi tecnici necessari per realizzare una blockchain, dandole una visione “più alta”.

L’idea alla base della blockchain è soprattutto ideologica: è il lato sociale e democratico della stessa a rappresentare il suo aspetto più dirompente. La blockchain – a prescindere dalla sua implementazione – deve rispecchiare i principi base su cui si fonda: decentralizzazione, trasparenza, immutabilità, consenso democratico e distribuzione del patrimonio informativo, creando fiducia dove essa non esiste (o non può esistere).

Per poter dar forza a questa visione, in termini di realizzabilità, uno spunto interessante, applicabile a tantissimi contesti, economici, sociali e personali, riprende lo speech di Simon Sinek che, durante il TEDxPuget Sound del 2009, ha espresso in maniera strepitosa l’idea chiave che guida le azioni dei grandi leader: il Golden Circle.
Il Golden Circle è costituito da tre cerchi concentrici: “What”, “How” e “Why” (dal più esterno al più interno). Ogni persona, azienda o organizzazione sa “cosa” fa, qualcuno sa “come”, ma quasi nessuno sa “perché”. E con “perché” non si intende il risultato finale o il prodotto di un’azione, bensì “qual è lo scopo? Qual è l’obiettivo? Qual è la motivazione?”.

Sinek ha citato diversi esempi come Martin Luther King (la cui frase più celebre non è “I have a plan”, bensì “I have a dream”), come Apple, la cui forza è riuscire a comunicare l’origine dei motivi che portano a produrre i dispositivi con la mela (“People don’t buy what you do; they buy why you do it.”). Ancora tra gi esempi citati, Samuel Pierpont Langley che, pur in possesso dei mezzi migliori per raggiungere l’obiettivo del primo volo – sia in termini economici (circa 50mila dollari dal Dipartimento della Guerra) sia in termini di competenze (cattedra ad Harvard e staff qualificato) – non vi riuscì. I fratelli Wright, invece, privi di un’educazione universitaria e autofinanziandosi tramite i guadagni del proprio negozio di biciclette, avevano, però, un obiettivo ed una convinzione più forti di tutto il resto e, il 17 dicembre 1903, spiccarono il volo.

E allora quale potrebbe essere l’elemento distintivo fra tutte le realtà nazionali ed internazionali attive sul tema blockchain alla luce del numero sempre crescente di associazioni, startup e aziende consolidate che stanno indagando i benefici della catena a blocchi? Come valorizzare al meglio l’attenzione politica ed economica sempre più elevata?
Quale potrebbe essere la chiave di volta che consente di comprendere pienamente l’intero puzzle tratteggiato dal paradigma blockchain?
Probabilmente chi riuscirà ad identificare nella propria proposizione il valore aggiunto del “why”, chi partirà dal cerchio più interno e non da quello più esterno chiedendosi un semplice, ma efficacissimo, “Perché adottare la tecnologia blockchain?”.

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