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Bouteflika si è dimesso. Il peso dei militari nei giochi di potere in Algeria

Un coro di clacson, vessilli nazionali agitati per strada, canti intonati davanti all’edificio Grande Poste, nel centro della capitale algerina, simbolo delle proteste delle scorse settimane. È così che Algeri ha festeggiato le dimissioni di Bouteflika, 82 anni, che lascia dopo essere stato per 20 anni al potere in Algeria. Tocca ora a Abdelkader Bensalah, 77, Presidente del Consiglio nazionale, Camera alta del Parlamento, prendere l’interim per 90 giorni, periodo massimo per organizzare nuove elezioni. Sodale di Bouteflika, occupa il suo posto dal 2002.

“Abbiamo vinto una battaglia ma la guerra continua”, titola il giornale francese Liberation, interpretando il sentimento di gran parte delle popolazione, quella che chiede un cambio di passo netto rispetto al “systéme” cristallizzato da decenni da “Moustachou”. Le contestazioni erano iniziate lo scorso febbraio, quando Bouteflika aveva annunciato l’intenzione di candidarsi per un quinto mandato. A seguito delle grandi proteste, l’11 marzo aveva ritirato la propria candidatura, rinviando anche le elezioni in programma per il 18 aprile. Ma non era bastato alla folla che protestava, con voce sempre più forte.

“Colpo di Stato militare o del popolo?” Se lo domanda la stampa algerina, alludendo all’idea che il popolo possa essere stato in qualche modo utilizzato dagli apparati militari che nelle ultime settimane hanno definitivamente scaricato Bouteflika. È stato il Capo di Stato maggiore nonché ministro della Difesa, Ahmed Gaid Salah, a reclamare, poco dopo le dimissioni, l’immediata “applicazione dell’articolo 102 della Costituzione” che prevede la dichiarazione di incapacità del Capo dello Stato. “Non c’è più tempo da perdere, non possiamo lasciare il Paese alle bande che fanno complotti”, ha detto Salah, citato dai media locali. Solo la settimana scorsa era stato proprio il potente capo di Stato maggiore a mettere sul tavolo l’impeachment di Bouteflika, costretto dal 2013 su una sedia a rotelle a causa di un ictus e lontano da tutti gli eventi pubblici.

Intanto, in queste ore, il quotidiano Jeune Afrique mette in guardia gli osservatori da facili letture. L’accelerazione impressa dei militari all’uscita di scena di Bouteflika è ulteriore conferma del peso e dell’importanza rivestita dai militari nei giochi di potere algerini, in lotta con gli ultimi fedeli. L’appello del capo di Stato Maggiore all’applicazione dell’articolo 102 sarebbe stato attentamente studiato e invocato proprio a seguito delle informazioni riservate provenienti da Zéralda, blindatissima residenza sul mare di Bouteflika, ma le cose si sarebbero complicate quando il Consiglio Costituzionale, presieduto da Tayeb Belaïz, fedele a Bouteflika, si sarebbe rifiutato di firmare per avviare la procedura di “impedimento”.

Ormai un punto fermo è stato posto alla vicenda, Bouteflika ha ascoltato il suo popolo e per il suo bene, come recita il suo accorato comunicato, si è dimesso. Ma resta significativo quanto registrano le cronache algerine, quello che potrebbe apparire un primo passo falso della ministra della cultura Meriem Merdaci, fresca di nomina. Nelle ore immediatamente precedenti alle dimissioni del Presidente su Facebook avrebbe scritto: “Bouteflika lotta tra la vita e la morte, i suoi parametri vitali sono compromessi”. Uno scivolone da neofita delle istituzioni, ancora non pienamente consapevole dei doveri di riservatezza che le competono, o una dichiarazione fatta ad arte, a vantaggio di chi aveva fretta di eliminare Bouteflika dalla scena politica?

(Foto: Creative Commons)

 

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