Quest’anno la Nato compie 70 anni. Dal lontano 4 aprile 1949 – quando venne firmato a Washington il trattato che ha dato vita all’Alleanza atlantica – il mondo è cambiato e con esso l’ordine internazionale, ma non la profonda ragion d’essere che giustifica l’esistenza di un’alleanza politico-militare transatlantica e la piena e convinta partecipazione in essa dell’Italia. Se le coordinate storiche che portarono alla creazione del Patto atlantico appaiono oggi profondamente mutate, le attuali sfide alla sicurezza, sempre più complesse e in costante evoluzione, richiedono risposte comuni, coordinate e credibili.
Per rimanere in grado di fronteggiare le minacce alla nostra sicurezza e stabilità, la Nato ha compiuto negli anni un processo di adattamento e trasformazione che non trova pari in altre organizzazioni internazionali. Tale processo si è realizzato in risposta alle sfide da due principali direzioni strategiche, est e sud. Da est, per una Russia sempre più assertiva sullo scenario internazionale, e da sud, in risposta alla minaccia del terrorismo internazionale, che ha assunto anche una dimensione territoriale in Paesi instabili e con istituzioni fragili.
Data la profonda diversità di queste due sfide e le modalità, anche non convenzionali o asimmetriche, con cui si manifestano, la Nato ha compiuto un’opera di ricostruzione della propria cultura di deterrenza e difesa che, passando ad esempio attraverso il riconoscimento dello spazio cibernetico quale quarto dominio operativo in aggiunta ai tre tradizionali (terra, aria, mare), ha portato alla revisione della dottrina militare e all’adozione di specifiche misure di adattamento.
Tra le misure di adattamento a est si colloca la “presenza avanzata” – limitata numericamente, ma altamente simbolica – in particolare in Polonia e nei Paesi Baltici (cosiddetta enhanced forward presence), ma con misure anche per Romania, Bulgaria e verso il Mar Nero (cosiddetta tailored forward presence). È stata incrementata la prontezza delle forze e rafforzata la postura marittima e di difesa aerea.
L’azione dell’Italia si è concentrata negli ultimi anni secondo due direttrici: innanzitutto, affinché l’adattamento a est fosse realizzato in una logica di dialogo e non escalatoria con la Russia; inoltre, affinché la Nato si preparasse altresì alle minacce percepite come più immediate dai nostri cittadini e provenienti da sud. Sotto quest’ultimo profilo, ricordo l’adozione dell’Action plan contro il terrorismo; il rafforzamento della cooperazione con i partner meridionali; la creazione dell’Hub regionale per il sud presso il comando Nato di Napoli; il miglioramento delle capacità della Nato di agire a sud attraverso esercitazioni congiunte con i partner; la missione navale Sea guardian nel Mediterraneo; l’avvio di una pianificazione militare avanzata idonea a fronteggiare il rischio proveniente dall’area meridionale.
Questo processo di adattamento si articola anche nel rafforzamento delle capacità della Nato di rispondere ad attività ostili non convenzionali poste in essere sia da attori statali, sia da attori non statali, comunemente definite hybrid warfare. Similmente, attraverso il Cyber defence pledge, la Nato si è dotata di uno strumento per rafforzare la resilienza cibernetica. Alla luce della natura fluida e trasversale di queste minacce, e della necessità di offrire una risposta adeguata, la Nato ha ulteriormente strutturato la propria collaborazione con altre organizzazioni internazionali, tra cui in particolare l’Unione europea, di particolare rilievo in questa fase di rafforzamento delle capacità di difesa europee.
L’Alleanza è oggi impegnata anche in un’approfondita analisi delle implicazioni di sicurezza della situazione venutasi a creare con la denuncia del Trattato intermediate nuclear forces (Inf), senza abbandonare il proprio impegno di disarmo, controllo armamenti e non proliferazione. Non bisogna poi dimenticare l’importante ruolo svolto storicamente delle missioni e operazioni Nato per la stabilità e la sicurezza internazionale. Il rischio per l’Alleanza è semmai quello di ritrovarsi sola (pensiamo al Kosovo, ma anche all’Afghanistan) a svolgere una funzione di stabilizzazione che richiede un vero comprehensive approach da parte della comunità internazionale, Nazioni Unite e Unione europea in primis.
La Nato è tra le organizzazioni internazionali più dinamiche e coese, grazie a un patrimonio di valori comuni e alla perdurante solidità del legame transatlantico. Le prove che ha dovuto superare l’hanno rafforzata: basti pensare alla fase post caduta del Muro di Berlino con la grande onda del suo allargamento, non ancora esaurita, come dimostra la prossima adesione della Macedonia del Nord, e la sua capacità di creare una rete ampia e variegata di partner, unica nel suo genere (Dialogo mediterraneo con Israele e Paesi arabi, ma anche partner del Golfo, partner Asia-Pacifico); patrimonio di conquiste ribadito dai ministri degli Esteri della Nato a Washington, celebrando la ricorrenza nella stessa sala dove 70 anni fa venne firmato il Trattato istitutivo dell’alleanza.