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La Cina si chiede se convenga la guerra commerciale con gli Usa

Perché nei giorni di Pasqua (dedicati a riflessioni e meditazioni) occuparsi di temi e problemi del commercio internazionale? In primo luogo, perché c’è molto che bolle in pentola. In secondo luogo, perché l’argomento sembra non interessare la stampa cartacea, neanche i maggiori quotidiani specializzati in economia e finanza. Invece, può incidere sugli scambi mondiali di merci e servizi, che si prospettano in declino (come ha documentato l’ultimo rapporto annuale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, Omc). Un rallentamento che può essere esiziale per un Paese manifatturiero ed esportatore come l’Italia.

Facciamo il punto. Da più di un anno, la scena del commercio mondiale è dominata dai prolegomeni di una guerra commerciale (peraltro mai iniziata) tra Usa e Cina e dalle sue ramificazioni sul resto del mondo (tra cui scaramucce tra Usa ed Unione Europea, Ue). Tra i due contendenti, si era giunti ad un armistizio che sarebbe dovuto durare sino a fine marzo e successivamente esteso a fine aprile. Come già detto su questa testata, una delegazione cinese ad altissimo livello è a Washington, l’accordo è quasi completo, ci si è arenati sul nodo dell’enforcement (le misure da inserire nel testo per assicurare che Pechino mantenga gli impegni).

È interessante notare che proprio in questi giorni, sul fascicolo n.1 del 2019 dell’International Journal of Business and Economics, due economisti cinesi di rango (Saijad Hosain e Saddan Sokti) di una delle più antiche e più importanti università della Cina Occidentale (Sichuan University, nella grafia internazionale) pubblichino un saggio intitolato: È veramente necessaria la guerra commerciale Usa-Cina? Il lavoro – certamente pubblicato su un trimestrale internazionale con il consenso delle autorità cinesi – sviluppa il concetto di “scambio ragionevole” ed indica come il disavanzo della bilancia commerciale tra Usa e Cina può essere colmato con maggiori esportazioni degli Stati Uniti verso la Repubblica Popolare in comparti, sino ad ora, poco trattati come l’agricoltura, l’energia e servizi come istruzione e turismo. Deve essere senza dubbio interpretato come un ramoscello d’ulivo. Anche per portare a buon fine il negoziato in corso.

Sappiamo che il nodo di fondo nei negoziati Usa-Cina non è tanto l’interscambio di merci e servizi quanto la tecnologia. In un saggio di Dan Ciuriak del Center for International Governance and Innovation nell’ultimo fascicolo del Global Solutions Journal si affaccia una proposta, ma di medio e lungo periodo: ampliare gli accordi multilaterali su scambi ed investimenti per tener conto della “nuova” economia pilotata da dati e tecnologia delle informazioni ed incanalare la rivalità in una competizione tecnologica costruttiva, utile per tutte le parti in campo.

Altro contributo utile, quello di Yagoub Elryah nell’ultimo numero del Management and Economics Research Journal. Le relazioni commerciali tra Usa e Cina sono esaminate nel più vasto contesto delle dispute commerciali nell’ambito del G 20. La conclusione ha punti in comune con la proposta di Ciuriak: estendere il sistema multilaterale Omc agli investimenti ed alla tecnologia, migliorando, al tempo stesso, le difese contro il protezionismo all’interno del G 20.

Per utili che siano, queste proposte – rileva un lavoro di Mary Lovely del Peterson Institute for International Economics di Washington – non sembrano tenere conto della imprevedibilità della Casa Bianca, ossia del presidente Donald Trump, in materia commerciale. Ad esempio, è da pochi mesi entrato in vigore il nuovo Nafta (l’accordo di libero scambio tra Usa, Canada e Messico) che lo stesso Trump ha definito come il maggiore accordo commerciale mai fatto, e con un tweet la Casa Bianca minaccia un dazio del 25% alle importazioni di auto dal Messico se la Repubblica dell’America centrale non porta la da dove provengono gli immigranti illegali che premono ai confini con gli Usa. Non è chiaro se Trump darà seguito a questa minaccia, ma, in punta di diritto, tutti gli accordi commerciali tra Stati Uniti, Messico e Canada risulterebbero sospesi. Analogamente, i Ministri dell’Ue hanno appena dato un mandato formale alla Commissione di negoziare con gli Usa un accordo commerciale che escluda il settore agricolo, ma la Casa Bianca insiste che non si comincia neanche la trattativa se i prodotti agricoli americani non avranno un migliore e maggiore accesso al mercato europeo. Più astutamente, il Governo giapponese di Shinzo Abe ha iniziato un negoziato bilaterale con gli Usa, ma sta traccheggiando in attesa, forse, che arrivi un nuovo inquilino alla Casa Bianca,

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