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La Cina? Non è un Paese per tech Usa. Amazon chiude il suo marketplace

“Stiamo comunicando ai nostri venditori che non opereremo più tramite la piattaforma di Amazon.cn” ha annunciato l’azienda in un comunicato stampa, “e che non offriremo più i relativi servizi dal 18 luglio”. Con queste parole il colosso americano del retail, fondato da Jeff Bezos, ha commentato la notizia di uno stop alle vendite sul suo marketplace nella Repubblica Popolare.

IL PESO DI ALIBABA E JD.COM

La compagnia tenta così di minimizzare, sottolineando che continuerà ad operare in Cina – il mercato più grande del mondo per quanto concerne lo shopping online (2 trilioni di dollari di vendite l’anno) – tramite Amazon Global Store, Amazon Global Selling, AWS ed i dispositivi e contenuti Kindle. In particolare, a chiudere è il negozio online che consente ai consumatori locali l’acquisto di beni da venditori locali, mentre l’azienda ha spiegato che ora il focus è sulla vendita in Cina di beni importati da Usa e altre parti del mondo, vista la relativa crescente domanda da parte dei consumatori. Il colpo, tuttavia, si fa sentire, perché evidenzia le difficoltà riscontrate nel competere con Tmall di Alibaba e JD.com, che in due controllano l’81,9% del mercato cinese.

LA “BREVE” STORIA DI AMAZON IN CINA

Amazon è approdata in Cina quindici anni fa, nel 2004, quando ha acquisito il più grande venditore di libri online cinese Joyo per una cifra pari a 75 milioni di dollari. Nel 2008, la quota di mercato della compagnia di Seattle in Cina era pari a circa il 15,4%, e la società locale è stata rinominata Amazon China nel 2011. L’anno scorso, come primo segno di crisi, la quota di mercato di Amazon China – hanno riportato i ricercatori di Analysis International – è scesa allo 0,6%.

UN AMBIENTE SFAVOREVOLE?

Con le dovute differenze, il passo indietro di Amazon, sottolineano diversi osservatori, è solo l’ultimo in ordine di tempo per i colossi tecnologici americani, che tra paletti normativi, obblighi di condividere informazioni e installare server in loco e censura governativa, sono spesso impossibilitati a lavorare nel Paese. Siti, servizi e app come Yahoo, Facebook, Whatsapp, Reddit, YouTube, Google e molti altri sono di fatto bloccati in Cina e accessibili solo attraverso Vpn. Prosperano, invece, i loro equivalenti cinesi come WeChat e Baidu. Tutto ciò, sottolineano gli addetti ai lavori, lascia pensare che le difficoltà della società di Bezos non siano un caso isolato, bensì una consuetudine.


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