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Il Def, le elezioni europee e le incognite del Day after

Le recenti stime dell’Ocse sullo stato di salute della nostra economia trovano riscontro nelle previsioni del Def, approvato dal Consiglio dei ministri e nelle preoccupazioni recentemente espresse, sui nostro conti, dal Commissario Ue Pierre Moscovici. Siamo in una condizione di tendenziale recessione con crescita prevista a -0,2%, il rapporto deficit/Pil stimato al 2,4% e con il rapporto debito/Pil che registra un incremento, sebbene confortati dal recente dato Eurostat che colloca la nostra produzione industriale al primo posto nell’Eurozona, nel primo trimestre di quest’anno.

Secondo una percezione diffusa, la nota di aggiornamento al Def e la legge di bilancio che impegneranno governo e Parlamento, in autunno, incontreranno, comunque, notevoli difficoltà, nell’intento di rispettare i parametri finanziari fissati in sede europea e coprire, al tempo stesso, le costose riforme varate in questi ultimi mesi dal governo. Una manovra correttiva viene, al momento, esclusa dalle due forze di governo, ma già, sulla flat tax e sui decreti crescita e “sblocca cantieri” si è registrata una frenata, o quanto meno uno slittamento dei tempi.

Sulla “tassa piatta”, il ministro Giovanni Tria è stato chiaro, la sua adozione, nella presente congiuntura, determinerebbe l’applicazione delle clausole di salvaguardia, con l’aumento dell’Iva, ipotesi anch’essa categoricamente esclusa dalle forze di maggioranza. Peraltro, secondo l’Ocse, non troverebbe fondamento l’aspettativa di una crescita che possa compensare una riduzione delle entrate fiscali. Reddito di cittadinanza e pensioni a quota cento, pur rispondendo, a giudizio di chi scrive, a rilevanti esigenze di equità e solidarietà sociale, non vengono ritenute, dall’autorevole osservatorio europeo, produttive di un contenimento della disoccupazione – stimata al 12%, due punti in più, rispetto al 2018 – e del rapporto debito-Pil. E cresce, così, la povertà tra i giovani e la tendenza degli stessi a lasciare il Paese e a mettere a disposizione di altre nazioni le risorse intellettuali e lavorative acquisite nei circuiti del nostro sistema di istruzione e formazione.

Propaganda, rassicurazioni e previsioni ottimistiche tenderanno, probabilmente, a prevalere, fino alle elezioni europee, la vera sfida tra le due forze alleate, per verificare i rapporti di forza tra le medesime, ma anche il livello di gradimento dell’esecutivo nel Paese. Nell’ipotesi che i dati che emergeranno da tali consultazioni rispecchino, in larga misura, i sondaggi diffusi nelle ultime settimane, il Movimento 5 Stelle potrebbe scegliere di confermare l’accordo di governo con la Lega – accompagnato, forse, da un “rimpasto” dei ministri, più favorevole a quest’ultima -, ma potrebbe anche avvertire la tentazione di sottrarsi alla responsabilità di pesanti e, a questo punto, imbarazzanti, manovre finanziarie di tipo correttivo, con il rischio di ulteriori emorragie di consenso e tornare, quindi, ad una linea di opposizione movimentista e contestataria, rivendicando la sua “diversità” morale – come il Pci. dell’on. Enrico Berlinguer alla metà degli Anni ’80 – e scaricando sull’alleato la colpa di aver ostacolato una proficua collaborazione di governo.

Scegliere, dunque, di rifugiarsi, di nuovo, in uno splendido isolamento di opposizione, in attesa di tempi nuovi e di numeri diversi. Del resto, già in questa fase, la luna di miele con Salvini sta scricchiolando e le scaramucce appaiono sempre più ricorrenti. Per Salvini, però, non sarebbe semplice un cambio di alleanze o di collocazione, dopo le europee. Se il previsto raddoppio dei consensi, rispetto alle politiche, fosse confermato (e anche i numeri degli altri partiti corrispondessero, in larga misura, a quelli dei sondaggi), il leader leghista potrebbe permettersi, a sua volta, – mera ipotesi “scolastica” – di tornare all’opposizione? E all’opposizione di chi? Sarebbe più difficile giustificarlo, con un risultato oltre il 30%, ben al di sopra di ogni altro concorrente!!

Altrimenti, sempre nel caso di rottura con 5 Stelle, potrebbe perseguire ancora una prospettiva di governo, alleandosi di nuovo con Berlusconi, verso il quale appare oggi refrattario, previo nuovo battesimo delle urne, questa volta, però, con elezioni politiche. Ma poi il centrodestra si accollerebbe la responsabilità di una nuova pesante manovra correttiva? Difficile, anche uscendo 5 Stelle dal governo, che Salvini possa arretrare, rispetto al reddito di cittadinanza, la riforma costosa voluta dall’alleato di oggi e approvata con il concorso della Lega stessa!! E intanto il Pd? Le europee certificheranno il gradimento degli elettori, nei confronti della nuova leadership di Zingaretti e il partito potrebbe, forse, guadagnare qualche punto in percentuale.

Ma per costruire un’alternativa di governo dovrà individuare dei nuovi alleati, non potrà eludere, ancora a lungo, questo nodo irrinunciabile. Considerando che, nel Movimento 5 Stelle, si colgono sensibilità non lontane dalle tradizionali posizioni della sinistra – un esempio è rappresentato, in particolare, dal presidente della Camera Roberto Fico, ma tenendo anche conto delle diverse sfumature che si delineano all’interno dello stesso Pd. Nel partito di Nicola Zingaretti oggi coesistono tentazioni tendenzialmente “neocentriste” – pensiamo a Calenda, o alla nuova corrente di “Base riformista” di Lotti e Guerini che evoca tanto, nella denominazione prescelta, l’antica dialettica correntizia della Dc – e posizioni ancora gelosamente legate ad un’identità tradizionale di sinistra e, quindi, aperte al recupero dei “fuoriusciti” di Articolo 1 e all’alleanza con altre formazioni più affini a quell’identità. Dopo le europee, questi nodi dovranno venire al pettine.


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