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L’Italia, la Cina e quell’inutile sgambetto agli Usa. Parla Luttwak

Continua il pressing americano su Roma. Non è bastato il tour negli States di Luigi Di Maio a mettere nel dimenticatoio la scelta italiana di aderire alla Belt and Road Initiative di Xi Jinping. E, potenzialmente, di far entrare nel mercato del 5G aziende cinesi come Huawei e Zte. Dal Centro Studi Americani l’ambasciatore degli Usa in Italia Lew Eisenberg non ha usato giri di parole: con il 5G ai cinesi non condivideremo più informazioni. “Lo sgambetto del governo gialloverde al suo alleato è segno di provincialismo”. Edward Luttwak sottoscrive i moniti statunitensi. Politologo e stratega con un passato al Pentagono, letto e apprezzato tanto negli Usa che in Cina, spiega a Formiche.net perché quelle di Di Maio &Co sono illusioni: “I cinesi non pagano mai i loro servi”.

Luttwak, ieri l’ambasciatore americano ha dato al governo gialloverde l’ennesima strigliata per gli accordi stretti con i cinesi, soprattutto sul 5G. Evidentemente il viaggio di Di Maio negli Usa non è bastato a metterci una pietra sopra…

Queste sono questioni tecniche, ascoltare questi moniti non è servilismo verso gli Stati Uniti. I governi che hanno studiato la questione in maniera tecnica e dettagliata come il Regno unito sono giunti alla conclusione che vale la pena escludere l’equipaggiamento di Huawei e Zte dalla fornitura del 5G. C’è un rapporto molto dettagliato del National Cyber Security Center in cui i tecnici britannici spiegano che è impossibile ripulire i reuters una volta installati.

Non è lecito fare affari con la Cina come fanno da sempre altri Stati europei?

Gli inglesi fanno molti affari con la Cina e continueranno a farli, ma non vogliono compromettere la loro sicurezza. Anche gli australiani esportano moltissimo in Cina e dipendono ben più dell’Italia dall’export cinese, eppure hanno escluso Huawei e Zte e stanno disinstallando le apparecchiature già installate.

Un’altra questione sollevata da Eisenberg: l’adesione alla Belt and Road.

Uno sgambetto all’alleato americano per il puro gusto di farlo. Il segno di un provincialismo e di un’ignoranza che per quanto ne dica Di Maio non sono giustificabili con l’export. Tutti i governi europei vogliono l’export cinese, aumentare il turismo, ma hanno rifiutato di diventare membri della Belt and Road, un programma di costruzioni infrastrutturali che non rispetta i diritti degli indigeni, le regole di anticorruzione e ambientali, le norme della Banca mondiale.

Per il governo la Via della Seta è la strada maestra per rilanciare l’export italiano…

Il governo italiano doveva solo dare uno sguardo alle statistiche sull’interscambio cinese. La Cina importa allegramente da Paesi che la prendono a schiaffi, come gli Stati Uniti, e non importa da tanti Paesi che invece hanno una politica più conciliante. È stupido fare uno sgambetto agli alleati per vendersi ai cinesi senza essere pagati.

Perché crede che la Cina non ci aprirà il suo mercato?

I cinesi non pagano mai i loro servi, pagano solo quando vogliono farlo. Gli australiani sono nel mirino della Cina dal lontano 2008. Appena hanno cominciato a prendere iniziative autonome i cinesi si sono vendicati. Il governo di Canberra ha supplicato i Marines di costruire una base militare a Darwin e adesso si è allineato agli Usa nella politica di contenimento cinese. Mai e poi mai gli sarebbe passato per la testa di aderire alla Bri.

Luttwak, chi a suo parere nel governo ha la responsabilità della politica filo-cinese?

Salvini ha scelto di defilarsi, e non se ne è occupato. Di Maio temo sia consigliato da gente che ha esperienza cinese. Mi riferisco a Michele Geraci. Una figura invisibile a Pechino, con piccole posizioni in diverse università ma nessuna di rilievo. Frequento Pechino dal lontano 1976, ho una foto con Mao, i cinesi pubblicano di continuo i miei libri, e conosco gli italiani che vivono nella capitale. Ci sono italiani molto importanti e rispettati, come Francesco Scisci e Enrico Fardella, ma di Geraci non ho mai sentito parlare.

Un’altra strigliata dall’ambasciatore è arrivata per il programma F-35, su cui il governo fa melina da un po’. È giusto chiudere l’accordo in tempi rapidi?

Il capo di Stato Maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli è un generale dell’aeronautica di grandissima competenza. Non è stato addestrato come pilota di volo ma come test-pilot, cioè pilota di sviluppo, sa ponderare perfettamente rischi e vantaggi del programma F-35. La decisione del governo italiano sugli F-35 a mio parere è professionale e non ha nulla a che vedere con il provincialismo mostrato sul dossier cinese. Su questi aerei ci sono diverse interpretazioni, c’è chi dice che è l’aeroplano migliore della storia, un formidabile collettore d’intelligence. Se fosse così non ci sarebbe bisogno di comprarne così tanti, ad essi andrebbero affiancati altri cacciabombardieri con una maggiore capacità.



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