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Tutti gli effetti (negativi) dello stallo sull’Ilva di Taranto

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La visita di oggi a Taranto di una delegazione governativa del Movimento 5 Stelle guidata dal ministro Di Maio ha per oggetto il rilancio del Contratto istituzionale di sviluppo, a suo tempo deliberato e avviato dai precedenti governi, e poi seguito nelle sue prime fasi attuative dall’ex ministro Claudio De Vincenti.

Nell’imminenza di questa visita alcune associazioni ambientaliste, deplorando l’aggiudicazione definitiva ad Arcelor Mittal del Gruppo Ilva e del suo gigantesco impianto tarantino – di cui invece volevano (e vogliono) sic et simpliciter la chiusura, come incautamente promesso in campagna elettorale anche da alcuni autorevoli esponenti dello stesso M5S – avevano annunciato un presidio sotto la Prefettura, volendo così porre quasi sotto assedio la presenza della delegazione ministeriale pentastellata.

Ma il ministro Di Maio ha deciso di convocare 23 associazioni per ascoltarne le ragioni e, presumibilmente, per dare loro precise risposte anche alla luce dell’accordo sottoscritto al ministero dello Sviluppo economico il 6 settembre del 2018 che, alla presenza di una vasta platea di soggetti istituzionali e sociali nazionali e locali, aveva definito l’intera operazioni di aggiudicazione definitiva del Gruppo Ilva ad Arcelor Mittal.

Allora bene ha fatto, a nostro avviso, il ministro a convocare le associazioni ambientaliste, ricordando peraltro che l’oggetto principale dell’agenda della visita a Taranto è la verifica dello stato di avanzamento del Contratto istituzionale di sviluppo. Ma la domanda che è lecito porsi è la seguente: cosa diranno poi concretamente il ministro e gli altri suoi colleghi a coloro che riproporranno la tesi estremistica della chiusura coatta del sito ionico? E se e come si argomenterà l’assoluta impraticabilità tecnica e giuridica, alla luce dei fatti attuali, di una simile richiesta? È auspicabile in proposito che la delegazione governativa conservi i nervi ben saldi, evitando di raccogliere la benché minima provocazione verbale, senza indulgere a facili demagogie, ben sapendo che ogni parola di troppo potrebbe alimentare attese come quelle che si erano create prima delle ultime elezioni politiche, quando i candidati nazionali e locali al Parlamento del Movimento andavano a promettere la dismissione dello stabilimento poche settimane dopo la loro andata al governo.

Come poi siano andate le cose lo sanno tutti, ed oggi Arcelor sta alacremente lavorando per accelerare i tempi  di realizzazione dell’Aia – Autorizzazione integrata ambientale, che invece taluni vorrebbero rimettere in discussione, sollecitandone una riscrittura ancor più vincolistica.

In questo scenario di crescente e confusa incertezza – che probabilmente avrà sorpreso il management del gruppo acquirente che immaginava di poter fruire di una moratoria da parte dell’estremismo ambientalista, almeno sino al completamento dell’Autorizzazione integrata ambientale – ci si chiede da parte di molti osservatori quale sia l’atteggiamento dei sindacati di categoria e confederali di fronte a questi ripetuti, insistiti, irriducibili assalti da parte del radicalismo ecologista alla permanenza  in produzione del siderurgico.

Quadri dirigenti e intermedi dei sindacati di categoria in realtà sono usciti duramente provati dalle recenti elezioni per il rinnovo del Consiglio di fabbrica che, fra dure polemiche e accuse interconfederali, hanno visto ancora una volta l’affermazione della Uilm che con il 38% dei voti espressi ha ottenuto il maggior numero di delegati, seguita dalla Fim Cisl con il 27%, dalla Fiom Cgil con il 19 e dall’Usb con il 16. Ma quello che sorprende – e che diciamolo con franchezza,  preoccupa – è lo stato di apparente apatia che vede 8.200 addetti dell’acciaieria ionica quasi disinteressati a quanto sta accadendo fuori dalla fabbrica, come se non vi fossero rischi concreti di ritrovarsi da un giorno all’altro dinanzi a provvedimenti ‘urgenti e contingibili’ minacciati peraltro di recente anche dal sindaco Melucci che – dopo una fase di valutazioni equilibrate sull’intera questione del siderurgico – ha ritenuto (inopinatamente) nelle ultime settimane di attaccare la nuova proprietà, imputandole fra l’altro di essere peggiore nei suoi comportamenti in azienda e fuori di essa della famiglia Riva, proprietaria in precedenza della fabbrica. Ci sbagliamo nel sottolineare l’apatia dei dirigenti sindacali e dei lavoratori? Ce lo auguriamo vivamente, anche perché vorremmo evidenziare un altro effetto negativo di quanto sta accadendo, e riguardante la fin troppo evidente difficoltà sui mercati siderurgici di promuovere acquisti di prodotti del sito di Taranto. Chi infatti ordinerà una sola tonnellata di coils o di lamiere ad uno stabilimento che potrebbe rischiare da un momento all’altro di essere oggetto di provvedimenti di blocco della sua attività, o almeno dell’area a caldo, che peraltro è ancora sotto sequestro dal 26 luglio del 2012, sia pure con facoltà d’uso?

Insomma, si ha percezione ad ogni livello locale e nazionale della totale assurdità di quanto sta accadendo a Taranto, con danno crescente per il nostro Paese che apparirà così ancora una volta del tutto inaffidabile per gli investimenti esteri?

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