Ieri il vicepremier grillino, Luigi Di Maio, s’è detto preoccupato perché la Lega è “alleata con chi nega l’Olocausto”. Evidentemente Di Maio non si riferiva a se stesso – la Lega è alleata al M5S di cui Di Maio è il leader tramite il contratto con cui è stato costruito a tavolino il governo gialloverde italiano – ma parlava di alcuni gruppi parlamentari che potrebbero far parte della wannabe-alleanza europea che il partito guidato dall’altro vicepremier, Matteo Salvini, sta pensando.
Dal M5s anche Stefano Buffagni, sottosegretario agli Affari Regionali, ha rincarato la dose: “Non possiamo accettare posizioni di gente come Orbàn o la Le Pen o di chi addirittura nega tragedie come l’Olocausto”. Il rischio, secondo certe letture che escono da uomini del Movimento, è che questo tipo di allineamenti in Europa rischi di minare il consenso costruito in Italia. Il M5S sente per questo la necessità di affrancarsi.
Ma Salvini punta sui numeri che potrebbe conquistare all’Europarlamento. Per le proiezioni di Politico, la Lega potrebbe avere 28 seggi, il francese RN 21, l’AfD tedesca 13 eurodeputati all’assemblea. Se Salvini ha successo in Polonia e Ungheria, ossia con i partiti PiS e Fidesz, il suo blocco potrebbe ottenere rispettivamente altri 27 e 14 posti.
“Non fatevi ingannare, questo populista ha un piano”, titola Bloomberg dall’Italia a proposito di Salvini. Tuttavia val pena sottolineare che il raggruppamento richiederebbe non facilissimi cambi di casa europea per alcuni dei partiti (per esempio, secondo il giornale ungherese Nepszava, Orbàn non ha intenzione di uscire dal Ppe, e sarebbe interessato a ricucire lo strappo che l’ha portato alla sospensione due settimane fa, per via delle visioni troppo illiberali).
Due giorni fa, il leader leghista era a Parigi – formalmente per la ministeriale Interni del G7 – e ha incontrato Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, con cui condivide il progetto di costruire un’alleanza nazionalista paneuropea. Salvini lunedì ospiterà una conferenza in cui cercherà di corteggiare tutte queste forze nazionaliste (populiste e sovraniste). L’evento, a cui pare che mancheranno tutti i grandi nomi su cui la Lega sperava (compresa Le Pen), ha un nome: “Verso un’Europa di buon senso”, e sarà ospitato all’Excelsior Hotel Gallia – albergo di lusso di proprietà della Katara Hospitality, società posseduta completamente dalla famiglia al Thani, regnante a Doha.
Il RN è il partito di estrema destra francese erede del Front National, terreni su cui le preoccupazioni di Di Maio si materializzano facilmente. Si chiamava ancora così, per esempio, nell’aprile del 2017, quando la sua leader si candidò per correre verso l’Eliseo (poi sconfitta da Emmanuel Macron) e scelse per il ruolo di presidenza Jean-François Jalkh, un europarlamentare semi-sconosciuto fino a quel momento, su cui furono facilmente trovate uscite negazioniste. In passato, Jalkh, citando spesso il professore Robert Faurisson (uno che negava che Auschwitz fosse un campo di sterminio e che nel 1993 si beccò una condanna di negazione di un crimine contro l’umanità) diceva infatti cose tipo: “Ho parlato con un chimico a proposito dello Zyklon B (il gas utilizzato nelle camere della morte nei campi di concentramento) e ritengo, da un punto di vista tecnico, che è impossibile, insisto impossibile, utilizzarlo in un’operazione di sterminio di massa”.
Jalkh è durato davvero poco alla guida del partito, su cui Mlp (come la chiamano i francesi) aveva già avviato una campagna di revisione, un maquillage profondo terminato poi con il nuovo nome: non più “fronte”, ma “raccolta”. D’altronde la figura del padre, Jean Marie Le Pen, storico fondatore del Fronte – un altro che considerava le camere a gas come “un dettaglio storico della Seconda guerra mondiale” – è pesante da gestire. Jalkh, attivista da sempre, aveva partecipato anche alla cerimonia per la morte del generale Pétain, e andava sostituito rapidamente: anche Le Pen era evidentemente preoccupata che certe figure potessero essere un problema per il consenso interno (come Di Maio lo è del suo alleato Salvini, insomma). La chiamata alla presidenza cadde allora su Steeve Briois, sindaco di Hénin-Beaumont, cittadina quasi insignificante nella geografia francese ma simbolo dei successi iniziali del partito.
Ma anche Briois aveva problemi: accusa di odio razziale per un tweet del novembre 2016, indagini per le minacce di morte contro il sindaco centrista di Sevran scritte sotto il suo profilo Facebook e non segnalate. Finita la parentesi della campagna presidenziale, alla presidenza del partito è tornata comunque Marine Le Pen, che tuttavia una volta disse che “non c’è una responsabilità nazionale della Francia” sul rastrellamento del Vel d’Hiv (l’episodio dell’arresto e deportazione nei campi di sterminio di migliaia di ebrei parigini nel luglio del 1942), ma poi, s’è detto, s’è impegnata in quella che è stata definita la “d é demonizzazione”, ossia il tentativo di affrancare il partito dalla visioni negazioniste, antisemite, eccetera.
Di Maio non ha messo in evidenza a chi si riferisse nella sua frase, ma c’è la coincidenza dell’incontro di Salvini con Le Pen e quei richiami al passato non sfuggono. Poi fatti più attuali: a gennaio di quest’anno, durante la cerimonia di commemorazione dell’Olocausto, i parlamentari del partito tedesco di estrema destra Afd hanno lasciato l’assemblea bavarese, per esempio. Al Gallia, lunedì, sarà presente il loro leader, Joerg Meuthen.
L’Afd, da cui l’ex presidente Frauke Petry è uscita per il “troppo estremismo”, è un altro dei partiti che Salvini e Le Pen stanno cercando di coinvolgere nella loro coalizione europea — ma attualmente a Bruxelles coabita con il M5S, nel gruppo Efdd. Per dire: uno dei due leader, Alexander Gauland, dice di essere orgoglioso delle “prestazioni dei soldati della Wehrmacht nella Seconda guerra mondiale”. Björn Höcke, protetto di Gauland, parla di “cambiare politiche di 180 gradi sull’Olocausto”, di iniziare “un’elaborazione del nazismo”, e ha espresso “comprensione” per il pluriomicida norvegese Andres Breivik, “mosso dalla disperazione”, dice Höcke dello stragista di Utoya. Nel partito anche “sua altezza”, come si fa chiamare, Beatrix von Storch, vice presidente, eurodeputata dal 2014: il nonno materno fu ministro delle Finanze di Hitler nel Terzo Reich.
Ancora, passando alla Polonia. A metà marzo un giornale polacco, Tylko Polska, ha fatto un titolo d’apertura simile a quello che avremmo potuto trovare sullo Stürmer – avamposto ideologico hitleriano. “Ecco come riconoscere un ebreo”: Tylko Polska, “Solo Polonia”, è un settimanale di estrema destra sovranista che sostiene apertamente il PiS, il partito di maggioranza guidato dal leader Jaroslaw Kaczynski, con il quale Salvini vorrebbe creare “un asse italo-polacco” (Roma-Varsavia?) dopo le elezioni di maggio.
A Milano ci saranno anche quelli dello spagnolo Vox, partito di estrema destra (ispirato al franchismo) guidato da Santiago Abascal, il cui successo in Andalusia, qualche mese fa, è stato festeggiato dal teorico neonazista della supremazia bianca David Duk, ex guida del Ku Klux Klan.
A dicembre, un’indagine dell’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Ue, ha segnato che l’antisemitismo sta aumentando in Europa negli ultimi anni, una sensazione registrata da nove ebrei europei su dieci.