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Così il M5S soffia sulla crisi. Di Stefano sbertuccia Salvini

Di Stefano

TRE TWEET FANNO UNA PROVA

Tre tweet fanno una prova, per dirla alla Agatha Christie. Che la tensione tra Cinque Stelle e Lega sia ormai altissima e che sembra sia ormai cominciato il gioco del cerino, ci pare al di là di ogni ragionevole dubbio. E lo si evince anche da alcuni comportamenti sui social che sono ormai la vetrina dei politici.

Da giovedì scorso, giorno in cui Di Maio ha sferrato l’attacco sul caso Siri, il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano ha lanciato tre tweet. Tutti e tre contro Salvini. Una svolta improvvisa in un account che possiamo definire normalmente illustrativo della propria attività istituzionale, propagandistico senza nemmeno particolare enfasi né grande assiduità sulla piattaforma.

LO STILE È CAMBIATO

Da giovedì, invece, lo stile di Di Stefano è improvvisamente cambiato. Il tono è diventato decisamente più aggressivo. Sembra quasi che l’account sia gestito da un’altra persona. Un tweet al giorno contro il nuovo nemico pubblico. Si comincia con la vicenda Siri-Raggi

Si prosegue col decreto Roma e la minaccia – che sembrava rientrata – di Salvini di non votarlo:

E fin qui, siamo nella polemica politica, nella difesa del proprio campo d’azione dalle incursioni dell’avversario. Il giorno di Pasqua, però, c’è un salto di qualità nella strategia comunicativa e il sottosegretario M5S sfida Salvini sul terreno a lui più caro: quello della sicurezza. Lo spunto glielo offre lo stupro avvenuto a Torino ai danni di una ragazza che è stata violentata per ore da due uomini. Alle notizie dei primi fermi, Di Stefano non ci pensa su due volte e twitta:

In attesa del tweet del lunedì, constatiamo che il contratto tra Lega e M5S ormai ha la valenza di una banconota fuori corso. Ieri  sera Toninelli insisteva nel chiedere il passo indietro di Siri. E su formiche.net abbiamo registrato l’impresa del governo Conte di aver messo d’accordo – con diverse sfumature, ovviamente – de Bortoli, Travaglio e Bisignani sulla necessità di staccare la spina all’esecutivo.



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