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Erdogan porta la Turchia al fianco di Serraj

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Ieri Fathi Bashaga, incaricato di guidare il ministero dell’Interno nel governo di accordo nazionale libico (Gna) che gode dell’egida Onu, era in Turchia, accompagnato da due dei comandanti regionali che coordinano le forze di protezione del Gna che stanno rispondendo all’aggressione contro Tripoli lanciata più di venti giorni fa dal signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar.

Bashaga sta diventando sempre più importante a Tripoli, un riferimento nel Gna legato alla Fratellanza musulmana e per questo ha collegamenti sia con Ankara che con Doha, due degli attori esterni che sostengono le posizioni tripoline (e quelle di Misurata, città-stato intervenuta a protezione di Tripoli in chiave anti-Haftar). Lo scenario ampio è quello dello scontro (anche violento) tra visioni più islamiste e quelle anti-islamiste di cui Emirati Arabi, Egitto e Arabia Saudita si fanno portatori. Lo sfocio sul campo libico di questo confronto all’interno del mondo sunnita divide i primi sul fronte tripolino e misuratino, gli altri su Haftar. Un esempio di questo: ieri il centro stampa che diffonde la propaganda haftariana denunciava il supporto turco al Gna, sostenendo che Ankara è complice dello Stato islamico (una retorica costruirà anni fa in ottica Siria dalla Russia, ormai abbandonata dai fatti: la Turchia è stata martoriata dagli attentati baghdadisti).

Lo scoop della riunione con i turchi è stata la cooperazione in ambito difesa e sicurezza “tra i due paesi”, virgolettato ad hoc messo nel comunicato di Ankara ped marcare la vicinanza al governo onusiano in Libia, con un riconoscimento di legittimità (il Gna gode, in quanto promosso dalle Nazioni Unite, di questo status da parte di quasi tutta la Comunità internazionale).

Domenica, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che il suo paese denuncia l’offensiva contro Tripoli e denuncia quella che ha definito una “cospirazione” contro la stabilità della Libia. Erdogan ha telefonato al capo del Consiglio presidenziale, Fayez Al-Sarraj, assicurandogli che la Turchia utilizzerà le sue capacità per impedire che siano i cittadini libici a subire questa “cospirazione”.

Queste dichiarazioni sono anche da collegarsi a quanto successo nella notte tra sabato e domenica, quando alcuni velivoli hanno bombardato le postazioni degli anti-Haftar in aree suburbane di Tripoli, producendo vittime civili. Attacco condannato dal governo Serraj come azione di “forze straniere” che supportano l’autoproclamato Feldmaresciallo dell’Est, e su cui il Gna ha chiesto l’intervento dell’Onu. Secondo informazioni non ufficiali, l’attacco sarebbe stato condotto attraverso l’uso di velivoli senza piloti emiratini: oggi Airwars, organizzazione che si occupa di monitorare i danni collaterali prodotto dagli attacchi aerei in Siria, Iraq e Libia ha diffuso delle immagini dei rottami di uno dei missili usato su Tripoli. Si tratta, a quando pare, di parti di un LJ-7 cinese, usato dagli Uav Wing Loong, apparecchi anche questi cinesi, di cui dispongono solo gli Emirati Arabi tra gli attori coinvolti nel conflitto libico (Abu Dhabi li aveva già usati a sostegno di Haftar in occasione della liberazione di Bengasi da gruppi islamisti e spurie dello Stato islamico).

Erdogan — sottolineando che il suo paese sosterrà “il governo legittimo in Libia, ossia il Gna di Tripoli — ha anche detto che non ci può essere una soluzione militare alla crisi e che il processo politico è l’unica via d’uscita dal conflitto attuale. L’apertura del fronte aereo, all’opposto, è considerato un elemento che rappresenta un salto di qualità negativo del conflitto.

Due giorni fa, Erdogan, spingendo la sua propaganda politica, ha detto che in Libia esiste un governo legittimato dall’approvazione popolare e un dittatore che riceve sostegno da alcuni Paesi, riferendosi a Haftar. Il presidente turco ha anche aggiunto che anche l’Europa è colpevole dell’aggressione: un’uscita con cui curare alcune linee anti-Bruxelles portata avanti dalla sua piattaforma politica, facendo sponda su un’ambiguità con cui la Francia ha affrontato il dossier.



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