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L’Europa è dialogo e diplomazia, non egocentrismo

Di Silvia Davite
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Davanti al progetto di integrazione europea, personalmente svantaggi proprio non ne vedo. Contrariamente a quanto taluni vogliano far credere, tutti traggono vantaggio da un’Europa forte perché essa è garanzia di equilibrio multipolare, di un ordine economico globale democratico dentro cui progrediscono le libertà personali, civili e sociali. Le libertà di tutti, intendo: non quelle di un solo sistema che prevarica sugli altri.

La storia d’Europa ancora oggi è un insegnamento fondamentale per il futuro. Il progetto europeo nasce per garantire pace, per restituire opportunità di riscatto a generazioni che si videro sottrarre il futuro dentro un conflitto bellico di portata globale, una guerra nata nel cuore dell’Europa.

Questo non va dimenticato perché i focolai latenti interni proprio all’Europa di cui oggi leggiamo non siano sottovalutati ma rappresentino per tutti quel campanello d’allarme capace di spingerci a riconoscere il percorso che insieme fin qui abbiamo compiuto e quello che oggi siamo chiamati a rinnovare: la costruzione di uno spazio umano terreno avanzato di democrazia, società aperta, lavoro e sicurezza sociale. Non va dispersa la memoria lunga dell’Europa, occorre favorire, come bene fa il presidente Vincenzo De Luca insieme a Laterza con Lezioni di Storia, tutte quelle occasioni capaci di raccontare vita vissuta dal dopoguerra ad oggi.

L’Europa è stata un successo per la capacità di mettere al centro la persona coniugando sviluppo e benessere diffuso, allargando la sfera dei diritti politici, civili e sociali, favorendo in questo modo scambi culturali e commerciali, idee e modelli organizzativi in cui la capacità di intraprendere e sperimentare del singolo nei diversi campi, è andata di pari passo con una crescente azione di tutela e sviluppo della comunità nel suo complesso.

È lampante dunque come per i giovani e gli imprenditori, curiosi per natura, l’Europa storicamente abbia rappresentato il luogo ideale in cui crescere, imparare e sviluppare: dobbiamo fare in modo che continui ad esserlo. All’inizio del dopoguerra l’impegno delle forze produttive europee è stato fondamentale: il miracolo economico in Italia e la stagione di crescita e benessere in tutta Europa, ne furono la conseguenza evidente.

Anche oggi, per reagire al rallentamento è necessario un impulso fortissimo delle forze produttive. Diversamente la ripresa economica sarà difficile e lo stesso sistema di protezioni sociali rischia di indebolirsi: molto spesso dimentichiamo che gran parte del sistema sociale locale in campo culturale, socio sanitario, della formazione, dei legami di comunità e cioè occasioni di aggregazione, sport, cooperazione, promozione dei talenti artistici, per non parlare della riqualificazione di beni culturali e porzioni di città, avviene grazie al contributo importante delle imprese.

Commercianti, reti di piccole e piccolissime imprese, grandi industrie sono consapevoli che l’investimento nella comunità genera le condizioni di pieno sviluppo della persona, dei suoi talenti e del saper fare che a sua volta alimenta rinnovato impulso alla cultura d’impresa, ossia la capacità di rischiare sulla base dell’individuazione di un bisogno sociale attraverso un investimento programmato, pianificato ed ordinato in modo strategico che consenta di rientrare del rischio, di guadagnare profitto e di redistribuire alla società.

Pensiamo che cosa accadrebbe se ci trovassimo in una recessione profonda, tutto questo contributo al welfare locale, fisiologicamente, sarebbe la prima voce del bilancio delle imprese a contrarsi, se non addirittura ad azzerarsi con gravi conseguenze sulla coesione sociale.

Come dobbiamo oggi rilanciare il modello europeo? Personalmente quoto la ricetta del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: “Convergere su obiettivi comuni per la crescita a partire da un piano transnazionale per le infrastrutture, la logistica e i collegamenti finanziato da Eurobond o attraverso maggior deficit ‘di scopo’ orientato alle politiche di investimento come migliore garanzia per il rispetto dei saldi contabili”.

A differenza del passato quando i tassi di crescita in Europa vedevano divari vistosi tra le economie nazionali o tra regioni di esse, persuadendo i più forti di poter bastare a loro stessi e rendendo più difficoltoso qualsiasi ragionamento per ripensare i parametri di bilancio collegandoli agli effetti di misure per la crescita comune, dopo la crisi del 2008 nelle difficoltà attuali in cui tutti ancora ci troviamo, paradossalmente, si presenta innanzi un’occasione imperdibile per rilanciare l’economia europea e dunque il progetto stesso di Europa politica.

Per questo di pari passo alle infrastrutture occorre favorire la mobilità interna intesa come servizi di collocamento al lavoro, occasioni di formazione professionale e certificazione unica delle competenze, interventi per la mobilità abitativa grazie, per esempio, ad un sistema coordinato di agenzie casa per i giovani e i lavoratori che si spostano nel percorso di crescita formativa e professionale. Ancora è importante riuscire ad armonizzare le regole del mercato del lavoro in un quadro di investimenti, di sviluppo e partenariato istituzionale rivolto alle aree d’Europa a più basso tasso di crescita, perché questo permette di rafforzare le potenzialità del mercato unico europeo in chiave di domanda interna, diventando contemporaneamente l’acceleratore di un processo analogo sulle sponde oltre il Mediterraneo, a partire dall’Africa.

Troppi cosiddetti “sovranisti” si lasciano condizionare da una sorta di egocentrismo nazionalista che è cosa diversa dall’amore per la patria… Quando seguiamo l’ego perdiamo di vista l’interesse nazionale e finiamo per non dare la giusta importanza a notizie invece molto rilevanti. Ad esempio si è commentato poco il fatto che con la recente firma del Gambia, l’Africa continentale ha raggiunto le 22 adesioni necessarie per attivare il trattato di libero scambio, uno spazio commerciale con una dimensione stimata di 1,7 miliardi di persone.

In questo processo intensificare lo scambio di relazioni che si è insediato dentro Business Med e vale dire dentro lo strumento di dialogo tra le Confindustria africane e quelle europee, di cui l’Italia è stata ed è parte attiva, diventa il terreno prioritario per perseguire l’interesse nazionale, che coincide esattamente con quello dell’Europa, in tema di gestione dei flussi migratori, di sicurezza interna e di sviluppo per le aziende che in Africa possono commercializzare.

In questo quadro è del tutto evidente che l’investimento europeo per lo sviluppo dell’Africa rappresenta un fattore determinate per la vita stessa dell’Europa intesa come terreno avanzato di democrazia, società aperta, lavoro e sicurezza sociale. I giovani stranieri che si formano nella nostra Europa dentro un sistema di integrazione di qualità diventano essi stessi il seme più fecondo per far germogliare i principi di democrazia, libertà della persona e stato diritto, fondamento del volto e dell’anima europei.

Per questo considero positivo il modello realizzato da Confindustria insieme a Letizia Moratti, presidente della Fondazione E4Impact: hanno dato vita ad una rete di imprese che acquista in Africa a costi europei e che contemporaneamente forma le persone da cui acquista, ne stimola le capacità imprenditoriali sostenendo la formazione di piccole imprese e svolgendo una funzione di tutor su come crescere e commercializzare.

Ritengo questo progetto uno dei tre contributi essenziali che le imprese italiane stanno dando alla riforma della governance europea. Gli inglesi pure, attraverso un fondo di impatto sociale, hanno prodotto un investimento importante in istruzione di base. Capite bene che se la diplomazia economica europea unisce l’istruzione alla formazione professionale come biglietto da visita in Africa, l’Europa nel suo complesso dovrà porsi necessariamente il tema di una gestione politica dei rapporti con l’Africa complementare.

Per questo auspico che il sistema delle imprese italiane continui quello che più ha mostrato di saper fare in questi anni difficili, la diplomazia. E l’Europa è il campo di gioco che più oggi necessita di questo apporto prezioso. Confindustria quest’anno ha inaugurato Connext, la sua Business Community il cui slogan è stato la citazione di un intervento di John Nash premio Nobel per l’economia nel 1994 “Per cambiare occorre agire insieme”.

Non è stato certo un caso che l’appuntamento si sia tenuto a Milano, essa infatti è la città che meglio rappresenta, per spirito ambrosiano, la capacità naturale di fare insieme. In pochi forse lo sanno, ma Milano è l’unica città europea in cui i sindaci che si sono susseguiti al governo della città, si parlano.

Agire insieme, dunque: i manager italiani nel mondo devono essere consapevoli delle abilità organizzative che possiedono e della formazione interculturale che li contraddistingue, che insieme sono le basi, a mio avviso, della capacità diplomatica. Essere dei buoni organizzatori, infatti, significa saperci fare con le persone: qualsiasi processo di innovazione aziendale non si realizza senza il consenso più largo possibile.

Rafforzare la rete italiana della diplomazia economica significa certo contribuire a far crescere le nostre imprese che soffrono ancora di eccessivo nanismo, pericoloso di fronte a giganti economici sostenuti da Stati in espansione. Significa pure sostenere il mercato unico europeo: Francia e Germania negli incontri bilaterali con la Confindustria italiana a Bolzano e Versailles hanno mostrato grande consapevolezza sul punto avviando una svolta culturale che lo stesso Presidente Sergio Mattarella ha recentemente riconosciuto come contributo qualificante al rafforzamento del processo di integrazione europea.

Lo stesso progetto Elite realizzato dal presidente Boccia insieme a Borsa Italiana va in questa direzione configurandosi come una grande piattaforma internazionale per conoscere i partner d’affari più adeguati ad un’azienda creando le occasioni per fare sinergia e crescere insieme fin negli assetti societari. Alla luce di tutto ciò sono profondamente convinta che sarà determinante per l’economia italiana costruire importanti legami con la futura Commissione nei ruoli chiave dell’Immigrazione, del mercato interno e della direzione bilancio.

Infine credo occorra compiere una precisa scelta politica tanto nella ridefinizione della governance europea quanto nella concezione stessa di coesione sociale a cui devono orientarsi i principali programmi europei: da Horizon ad Europa Creativa e così via su tutto il resto.

Nel primo caso penso sia necessario rafforzare il Comitato delle Regioni e delle Città d’Europa con un ruolo che sia più che consultivo: dovrebbe andare di pari passo con quello che in Italia abbiamo chiamato Senato federale, che, ricordo, è stato uno dei pochissimi punti, al termine della dialettica parlamentare, su cui si andò registrando un consenso largo.

Quanto ai programmi penso possa essere interessante inserire lo strumento dei partenariati istituzionali: la possibilità cioè da parte delle aree più ricche di un Paese di partecipare ad un progetto o programma europeo siglando una partnership con un’area interna ai confini nazionali più debole, impegnandosi così ad attivare sinergicamente una call rivolta al tessuto produttivo locale per massimizzare in chiave di unità nazionale e federale gli effetti del finanziamento europeo.

In ottemperanza a quanto segnalato solo pochi giorni fa dalla stessa Corte dei Conti europea circa i criteri a cui dovrà ispirarsi la prossima Commissione nel ripartire le risorse, l’obiettivo è il medesimo: quello di realizzare una sussidiarietà fattiva e solidale capace di stimolare fattivamente i singoli Stati nazionali a ridurre i divari tra aree ricche e meno forti.

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