Per essere una buona operazione, lo è. Il problema è che costa troppo e per questo non si può fare, non ora almeno. A 24 ore dal Consiglio dei ministri chiamato ad approvare il Def, la flat tax continua ad agitare il governo. Matteo Salvini prosegue il pressing sul ministero dell’Economia affinché la creatura della Lega, la tassa piatta al 15% (al 20 per i redditi sopra gli 80 mila euro) venga incastonata già domani nel Documento di economia e finanza, il testo che nei fatti getterà le basi della prossima manovra d’autunno.
I dubbi però non mancano, a cominciare proprio da quelli di Via XX Settembre, dove si ragiona sui costi (12 miliardi per la Lega ma per il Tesoro potrebbero essere anche 50, come emerso poche settimane fa da una simulazione degli stessi tecnici del Mef). E poi per il dicastero guidato da Giovanni Tria parlare in questo momento di tagli delle tasse rischierebbe di avere un effetto pesante sullo spread, coi mercati che non capirebbero dove (e come) il governo possa prendere le risorse. Meglio rinviare tutto a settembre, quando si metterà mano alla manovra e alla riforma del fisco. Linea sostenuta dal M5S che, però, insiste sulle misure per la famiglia, dal bonus pannolini al quoziente familiare. Per uscire dall’agone politico e dare alla questione flat tax una lettura il più tecnica possibile, Formiche.net ha sentito il parere di Vincenzo De Luca, capo area Fisco di Confcommercio.
“Partiamo da un presupposto, la flat tax è un’operazione che porta dei benefici e cioè riduzione della pressione fiscale e la semplificazione tributaria. Effetti positivi per un Paese come l’Italia”, premette De Luca. “Il problema è però un altro, ovvero il costo e qui i dubbi del ministro Tria, che i calcoli se li è fatti, ci stanno tutti. La tassa piatta su due aliquote costerebbe circa 50 miliardi. Non sono numeri inventati, ma stime dello stesso Tesoro. Il punto è proprio questo, nell’attuale situazione dei conti pubblici, la flat tax per quanto saggia non sarebbe proponibile. Pensiamo solo che sei ai 50 miliardi aggiungiamo i 23 necessari per disinnescare l’Iva nel 2019, che peraltro rappresenterebbe la vera priorità, arriviamo a 73 miliardi. Praticamente tre manovre messe insieme. Come può farvi fronte un Paese con il debito al 130% del Pil e con un deficit 2019 stimato al 2,6%, peraltro in assenza di crescita? Impossibile”. Dunque, secondo Confcommercio, la flat tax di Salvini va messa in stand by, almeno fino a un miglioramento sensibile dei nostri conti.
Per i commercianti però il fatto di dover giocoforza accantonare la tassa forfettaria non vuol dire non avviare l’atteso riassetto fiscale, che le imprese chiedono da molto tempo. “Il governo non dovrebbe accanirsi sulla flat tax, potrebbe iniziare a mettere mano al fisco, partendo per esempio dall’Irpef. “Se si volesse iniziare da qualche parte, sarebbe opportuno ridurre gli attuali scaglioni Irpef, che oggi sono cinque. Invece bisognerebbe ridurli a tre e questo peraltro garantirebbe una migliore progressività alla tassa rispetto alla flat tax che invece ha solo due aliquote”, spiega De Luca. “Cominciare ad aggredire il fisco dal lato Irpef sarebbe un ottimo inizio. Certo, rimane il nodo delle risorse, che comunque sarebbero minori di quelle necessarie per la flat tax. In questo senso”, chiarisce ancora De Luca, “si potrebbe pensare a un riordino delle agevolazioni fiscali, che frutterebbe un po’ di fondi. Poi però ci sarebbe anche un robusto intervento sulla spesa pubblica, che però come sappiamo ogni volta fallisce. Una cosa il governo non deve fare e speriamo che non lo faccia. Finanziare la flat tax con gli aumenti dell’Iva. Sarebbe un disastro”.