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L’ottava stagione di Game of Thrones. Viaggio nei meandri della geopolitica pop

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Più che episodi di transizione, i primi due dell’ultima serie, sembrano svolgere un’importante funzione ‘preparatoria’ per quanto accadrà già dalla terza puntata, visto che l’esercito guidato dal Re della Notte è ormai alle porte di Grande Inverno.

Continuiamo la nostra avventura nei meandri della geopolitica “pop” cogliendo le prime suggestioni fornite dalla stagione finale della serie cult per eccellenza. Tra gli spunti, uno su tutti può essere considerato sia come la chiave di lettura de il Trono di Spade che, in qualche modo, delle dinamiche politiche internazionali. Guardando Daenerys e Jon Snow che discutono amorevolmente, l’acuto Lord Varys osserva che “nulla dura per sempre”. Verosimilmente dietro questa frase lapidaria non c’è solo il significato di quanto abbiamo visto sinora ma, soprattutto, un’indicazione per quanto sta per accadere.

Infatti, quello che sembrava un fronte compatto, anche se profondamente eterogeneo, riunitosi in funzione della comune minaccia – gli Estranei – a cui i Sette Regni sono soggetti, svela alcune profonde lacerazioni. Anzitutto, quella tra la gente del Nord, con Sansa Stark in testa, e la regina Daenerys. Avendo nominato Jon loro re, i primi stentano ad accettare l’autorità della seconda. La vedono, infatti, alla stregua di un nuovo usurpatore che, piantate le tende del suo esercito nel Nord con la scusa del pericolo imminente, difficilmente le schioderà una volta sconfitto quest’ultimo. Da non sottovalutare, inoltre, il clima di sospetto sorto nei confronti di un personaggio cruciale ai fini della vittoria quale il Primo cavaliere della regina, Tyrion Lannister. Non giovano al suo prestigio all’interno della corte né il tradimento di sua sorella Cersei Lannister, che contrariamente a quanto promesso non invia il suo esercito a combattere contro gli Estranei, né l’arrivo a Grande Inverno di suo fratello Jaime, poco amato dagli uomini del Nord a causa dei sospetti relativi all’incidente a seguito di cui Bran Stark è rimasto paralizzato. Infine, cominciano a emergere le prime crepe anche tra Jon e Daenerys dopo la scoperta fatta dall’ex guardiano della notte di essere il legittimo pretendente al trono. Come si comprende dalle ultime battute della seconda puntata, ha probabilmente ragione Samwell Tarly quando avverte l’amico che la regina probabilmente non sarà capace di fare le stesse rinunce fatte da Jon rispetto alla lotta per il trono.

Compiendo quello che potrebbe essere un errore esiziale, Jon comunica alla regina una notizia che rischia di indebolire una coalizione già di per sé eterogenea che si accinge a combattere una battaglia campale. In tal senso, Jon continua a essere il campione dell’idealismo, mentre intorno alla figura di Daenerys cominciano a emergere alcune pesanti ombre (tra cui le ragioni e le modalità con cui ha ucciso gli altri membri della famiglia Tarly). Al contrario, per quel poco che si è vista finora, Cersei resta il personaggio più crudamente realista, che non sembra nutrire pietà nemmeno nei confronti del fratello amato – Jaime – quando se ne sente tradita, al punto da chiedere a Bronn delle Acque Nere di ucciderlo semmai tornasse ad Approdo del Re.

Tuttavia, il realismo dai tratti tucididei della serie non mette in mostra solamente la paura e l’utilità come motori dell’azione umana, ma fa alcune concessioni importanti anche all’onore. I due casi più limpidi sono quelli di Theon Greyjoy e di Jaime Lannister. Entrambi scelgono di combattere per la difesa di Grande Inverno, nonostante il loro ritorno al Nord potrebbe ricevere una cattiva accoglienza. Theon si riconcilia con Sansa e chiede il perdono a Bran, che si offre di difendere mentre questo farà da esca per il Re della Notte. Jaime, dal canto suo, si conferma come il personaggio dalla parabola evolutiva più radicale. Sceglie di non seguire il volere della sorella Cersei, di combattere per l’odiata casa Stark e, persino, di farlo in un ruolo subordinato al fianco di Brienne di Tarth, che – al culmine della sua catarsi – nomina cavaliere contravvenendo alla tradizione dei Sette Regni che vuole il titolo riservato ai soli uomini. La sua figura ricorda quasi le vite dei santi, che dall’estrema dissoluzione passano alla ricerca dell’espiazione. Ci dobbiamo aspettare anche il martirio?

(Articolo pubblicato su Geopolitica.info)

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