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È Giorgetti la differenza tra Lega e M5S. La versione di Campi

Giorgetti, Ilva

Il M5S? È forte sul piano della propaganda e dei volti da utilizzare in tv e sui media, ma non ha, a differenza della Lega, un Giorgetti che, nell’ombra, si occupa del lavoro “sporco” ma imprescindibile, come i rapporti con le imprese, gli intrecci internazionali e i dossier strategici.

Questa la differenza macroscopica tra i due alleati di governo secondo il politologo Alessandro Campi, docente di Scienza Politica e Relazioni internazionali e Politica Globale all’Università di Perugia ed editorialista per Messaggero e Mattino, che con Formiche.net ragiona su perimetro e prospettive di sovranisti e conservatori dopo le europee e soprattutto alla luce dell’esigenza salviniana di solidificare la propria proposta politica.

Eugenio Scalfari su Repubblica ha tratteggiato un’alleanza Salvini-Renzi: solo una boutade o una possibilità nel gioco ad incastri di una eventuale crisi?

Non mi sembra una possibilità reale. Renzi è stato ampiamente già svillaneggiato a sinistra e si trova in una fase di disgrazia politica. Magari Scalfari avrà voluto dire che Renzi è talmente di destra da poter fare, al limite, anche un’alleanza politica con la Lega. Non ci vedo molto più che questo, francamente.

L’appello lanciato da Giorgia Meloni a Torino di un polo conservator-sovranista è poggiato su solide basi oppure è un voler tirare per la giacchetta Salvini, dal momento che ad oggi è il player centrale?

È una possibilità reale, forse l’unica strada che la Lega poi dovrebbe decidersi ad imboccare se non vuol chiudersi nel vicolo cieco del radicalismo politico. Recentemente avevo ipotizzato una svolta leghista verso un partito conservatore di massa, così come Berlusconi avrebbe dovuto fare il partito liberale di massa. Poi magari fallirà anche Salvini, dopo il cavaliere. Ma per l’entità del consenso che ormai ha acquisito e anche per la piattaforma che ne caratterizza la propaganda politica, al netto dell’estremismo verbale che spesso distingue la Lega, credo che la visione proposta sia quella: una visione tradizionalista della società, un’attenzione molto strumentale che pone anche ai valori religiosi. Tutta molto magmatica in questa fase la difesa della famiglia e di quello schema comunitarista che la Lega insegue.

Ovvero?

Le identità storico-culturali da un lato, contro l’erosione che potrebbe venire come minaccia da fenomeni di globalizzazione: ecco il punto, che caratterizza certamente una proposta ultranazionalista o xenofoba, anche se poi si avvicina al momento attuale di società e politica. Per cui ci può stare un’evoluzione in quel senso e credo che la proposta della Meloni abbia una sua plausibilità.

D’altro canto i rapporti di forza nel vasto mondo del centrodestra ormai si sono definitivamente invertiti…

Prima c’era il nucleo forte sulla carta, incarnato dalla componente liberale berlusconiana, a guidare la galassia di partiti e movimenti identitari e ultra conservatori. Ora la gerarchia si è capovolta. Per cui tocca adesso a Salvini declinare un progetto politico, che fino ad ora ha poggiato essenzialmente sulla sua capacità agitatoria. È il leader che funziona meglio nell’attuale fase politica sul piano dell’immagine, che sfrutta meglio i meccanismi di consenso che sono diventati ormai preponderanti nella politica post moderna. Ma non si dimentichi che sono meccanismi tanto potenti e forti nel farti crescere, quanto altrettanto pericolosi. L’effetto boomerang è dietro l’angolo per cui, anche alla luce della parabola renziana, Salvini ha l’esigenza di solidificare la propria proposta politica.

Come potrebbe affrontare questa fase due?

Se pensa di affidarsi in eterno ai tweet, alla sua capacità di vivere l’opinione pubblica e di polarizzarla, rischia di essere travolto da quel meccanismo che attualmente ne alimenta l’immagine e la crescita di consensi.

Qualcuno vede affinità con il voler andare oltre il Polo sostenuto in An dall’allora vicepremier Pinuccio Tatarella. È così, con Giancarlo Giorgetti nelle vesti di suggeritore di Salvini, al netto delle differenze di “ere geologiche”?

Prendo in prestito una discussione fatta qualche giorno fa con Luigi Di Gregorio, autore del pamphlet “Demopatia”, uscito in questi giorni, che analizza i fenomeni di costruzione del consenso giocati sempre più sulla capacità di stare sul pezzo, twittando 24 ore al giorno, coltivando la propria immagine con un uso intenso dei mezzi di comunicazione. Un meccanismo però molto effimero. A quel punto ci si potrebbe chiedere: ma perché la politica non implode? Se tutto è così effimero, allora come andare avanti? La risposta è che probabilmente si è creato un doppio canale politico: la politica che appare e di cui si discute da un lato; e quella che manovra e di cui nessuno parla dall’altro.

Come si muovono entrambi i piani?

Il primo è quello interessato a discutere dell’ultima fidanzata di Salvini: su quello si focalizzano attenzioni e simpatie. È quella che potremmo definire la superficie propagandistica. Il secondo è quello in cui qualcuno deve obbligatoriamente interessarsi delle cose serie, anche se a nessuno apparentemente importa nulla di energia, infrastrutture, imprese, conti pubblici. Lì è come se si fosse creata una divisione dei compiti, con il frontman impegnato nel parlare all’opinione pubblica in tutti i modi possibili, con la felpa, con la fidanzata, con gli slogan, o con i finti litigi. Tutti fenomeni di posizionamento mediatico ad uso del grande pubblico. E poi ci sono i consiglieri-ombra come Giorgetti a fare da macchine. Se non fosse così l’Italia sarebbe già implosa.

Un doppio livello con persone e funzioni diverse?

Che lavorano separatamente, una in prima linea, altre più nell’ombra per i rapporti con le imprese, la mediazione con i sindacati, gli intrecci internazionali: il lavoro che fa Giorgetti. Questo il profilo assunto dalla politica contemporanea. Ed è su questo che si misura la forza della Lega rispetto al M5S, che non è sufficientemente strutturato su questo secondo livello ma ha puntato solo sull’effimero della propaganda. Attenzione però, senza un Giorgetti anche il consenso poi diventa sempre più effimero.

Da Pontida al Campidoglio. Come si snoderà secondo lei l’evoluzione della Lega, da partito nordista a movimento nazionale e sovra territoriale?

La Lega nasce nordista e separatista, anti italiana e anti romana: un elemento talmente radicato che è difficile oggi da estirpare. È chiaro che i partiti possono cambiare: Mussolini era repubblicano e liberale, per poi diventare monarchico. Ma occorrono tempi lunghi perché talune trasformazioni si rivelino serie e costruttive, e non solo operazioni di maquillages.

twitter@FDepalo

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