Il problema non è che l’aggiornamento dei conti governativi smentisca totalmente i dati fissati appena quattro mesi addietro, è che il modo in cui avviene e le indicazioni che se ne traggono tolgono al governo italiano qualsiasi credibilità. Il Fondo monetario internazionale ha definito l’Italia “zavorra d’Europa”, purtroppo questo modo di procedere è la pietra al collo che strangola un corpo produttivo forte il cui sistema nervoso è affetto da allucinazioni. Con la legge di bilancio il governo aveva garantito che il debito pubblico, qualsiasi cosa accadesse, sarebbe sceso. Una certezza cui era ragionevole non credere.
Difatti sale al 132,7%. Scenderà dall’anno successivo, il 2020, naturalmente. Con la stessa affidabilità vistasi per l’anno in corso. La garanzia governativa era avvalorata da quella che il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, chiamò “clausola di salvaguardia al contrario”: se i conti dovessero disallinearsi rispetto alle previsioni scatteranno tagli automatici alla spesa pubblica, capaci di riportarli in carreggiata. I conti sono disallineati fin dai primi giorni del 2019, non scatta alcuna correzione (anzi, paradossalmente si continua a negarla), sicché quanto scritto nella legge di bilancio è da considerarsi pura declamazione mendace. Il che, già di per sé, toglie credibilità a quant’altro potrà essere aggiunto.
Il deficit era stato fissato a un furbesco 2,04%, dopo essersi incaponiti sul 2,4. Sarebbe servito, dicevano i festeggianti irresponsabili di palazzo Chigi, per avere margini capaci di alimentare gli investimenti. Gli investimenti non ci sono e il deficit è previsto al 2.4. Questo, assieme al debito crescente, mette l’Italia in condizioni di grandissima difficoltà, perché facilissimo bersaglio non appena la copertura della Banca centrale europea si allenterà. Vi ricordate le previsioni di crescita? Secondo Paolo Savona, a novembre, era possibile puntare al 3%. Lo stesso mese Luigi Di Maio era più prudente: si sarebbe potuto agguantare il 2. La legge di bilancio è stata concepita fissando l’1,5, poi, a Natale, ridotto all’1.
Sono passati sei mesi da 3 e quattro mesi dall’1,5 e la crescita prevista dal Fmi, incorporata ora dai conti governativi, è allo 0,1%. Il bello è che mandano in giro quattro fanatici a dire: i sapientoni non hanno mai azzeccato le previsioni. Che, oltre a essere falso, sarebbe anche il caso di tacerlo. Il fatto è che con una pressione fiscale al 42,2% (dato del governo, non di un centro studi di teppisti) e con il debito crescente, quindi con l’aggravarsi del suo onere, riprendere il cammino dello sviluppo resta un miraggio, anche perché i soldi, nel frattempo, li si spende per agevolare chi non lavora e chi smette di lavorare.
Il colpo di grazia alla credibilità governativa arriva proprio in tema fiscale, perché nel documento inviato dal governo a Bruxelles si legge che si adotterà la flat tax: “Il sentiero di riforma per i prossimi anni prevede la graduale estensione del regime d’imposta sulle persone fisiche a due aliquote del 15 e 20 per cento, a partire dai redditi più bassi, al contempo riformando le deduzioni e detrazioni”. Che non significa niente, ma nel disperato tentativo di significare qualche cosa racconta di una flat tax a due aliquote, che poi resterebbero comunque cinque, perché scrivono il falso sapendo che è falso. Il guaio è che una flat a più aliquote è una battuta comica, un pensiero surreale, un imbroglio talmente gigantesco da risultare patetico. Questo è il problema: non la correzione dei conti, ma l’incorreggibile supponenza di chi pensa di affrontare problemi seri con un grotteschi scilinguagnolo.