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Una politica economica incoerente porta il governo alla crisi

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Costruire e portare avanti una famiglia non è facile. Bisogna trovare un’intesa tra i partner, sulla quale fondare un progetto condiviso, basato su aspettative ragionevoli; alimentare una cerchia di amicizie, su cui poter far conto al momento giusto; gestire il bilancio domestico. E per una buona tenuta dei conti di casa, vanno considerate le priorità, i vincoli esistenti, le prospettive di vita e lavoro: prima si paga la rata del mutuo, poi si aumenta la paghetta dei ragazzi; prima si copre il rosso in banca, poi si va in vacanza, anche per evitare il rischio di non avere più credito; prima si investe sull’impresa di famiglia, poi si compra la macchina nuova.

Il tutto avendo un occhio al presente e uno al futuro, cercando di immaginare come andrà il reddito familiare e quali saranno nel tempo le esigenze da fronteggiare, tenendo conto anche di possibili imprevisti. Se non si fa così, si può essere sicuri che la famiglia andrà a rotoli: si litiga su tutto, si recrimina per la mancanza di soldi per l’una o l’altra esigenza, si finisce nei guai con la banca e i creditori, si può perdere la casa o veder pignorato lo stipendio. E il divorzio diventa un passaggio inevitabile di un progetto fallito. Le cose non sono diverse per lo Stato, la cui gestione necessita almeno del rispetto delle regole fondamentali per la conduzione di una famiglia.

L’esecutivo Conte non è partito col piede giusto. Il contratto di governo non è un’intesa ma una sommatoria di rivendicazioni dei due partner, spesso in contraddizione tra loro, senza una coerenza di fondo: la spesa assistenzialistica urta con i propositi di rilancio degli investimenti e di riduzione della pressione fiscale; l’opposizione alle grandi opere contrasta con gli intenti di sostegno all’economia d’impresa e all’occupazione; l’idea di ridurre il deficit strutturale attraverso la crescita del Pil confligge con una politica economica disattenta alla crescita. Come potrebbe andare avanti una famiglia con idee contrastanti al suo interno, che spende quando ha bisogno di pagare i debiti e investire sull’impresa familiare?

Nel corso dei mesi la situazione è peggiorata: sono emerse le differenze di fondo tra i partiti di maggioranza e si è persa l’illusione di andare avanti in maniera coesa e coerente. Sono cominciati i litigi e non si è intravista una linea di politica economica riconoscibile sul piano tecnico e politico. La progressiva perdita di credibilità dell’azione di governo ha spinto in alto lo spread, aggravando i costi del debito pubblico. Le divisioni interne all’esecutivo hanno bloccato opzioni utili per il rilancio del Paese, come la Tav o la riduzione della pressione fiscale. Cosa accadrebbe a una famiglia che litiga in continuazione ed è incapace di mettersi d’accordo su questioni fondamentali per il benessere comune?

L’assenza di una strategia condivisa ha interessato anche le relazioni internazionali: di fronte ai problemi montanti dell’economia italiana, il ministro dello sviluppo economico ha pensato di andare a chiedere aiuto e collaborazione alla Cina, trascurando le forti perplessità dello storico alleato americano; mentre Salvini ha cercato di ricucire con gli Usa, dopo aver intensificato i rapporti con Putin e sostenuto il superamento delle sanzioni verso la Russia, innervosendo non poco i partner dell’Unione europea.

Il tutto nell’ambito di un populismo poco filoamericano e sicuramente antieuropeo, che ha isolato l’Italia nello scenario internazionale, con ricadute anche economiche. Ha senso che una famiglia con parecchi problemi e in difficoltà economiche accantoni i rapporti con i propri amici, che sono stati e restano disponibili ad aiutare, per cercare nuove amicizie dall’esito almeno incerto?

Eppure gli allert al governo non sono mancati e giungono ogni giorno: dall’Ocse alle agenzie di rating, dalla Bce alla Banca d’Italia, dall’Istat ad Eurostat, dalla Confindustria ai sindacati, dall’Unione europea al Fmi, tutti hanno avvertito e avvertono l’esecutivo dei rischi di una politica economica disattenta ai vincoli di bilancio e al rapporto deficit/Pil, gravata da provvedimenti, come quota 100 e reddito di cittadinanza, che non sostengono la crescita, se non nei ristretti limiti dell’immissione diretta di denaro nel sistema, e tolgono risorse agli investimenti e alla riduzione della pressione fiscale.

Ma l’esecutivo fa orecchie da mercante, continua a far riferimento a stime economiche senza riscontri oggettivi, respinge come intromissioni e “gufate” le competenti analisi che mostrano la gravità della situazione. E così si entra in recessione, senza battere ciglio, rivendicando orgogliosamente la coerenza populista delle scelte di governo. Come se una famiglia si rifiutasse di considerare i gravi rischi di continuare a spendere, senza pagare i debiti e investire sul futuro, e continuasse sulla stessa strada, disinteressandosi dei debiti e dell’impresa familiare in prefallimento.

Non può andare avanti a lungo. È vero che Salvini è soddisfatto dei risultati sul fronte immigrazione e sicurezza, e su questo ha costruito un grande consenso popolare; ma il vento può cambiare di fronte a una crisi economica che spazzi via le poche speranze residue di una ripresa dell’occupazione e del Pil. È vero che i 5 Stelle hanno un elettorato centrato sul conflitto sociale e sull’assistenzialismo, ma anche loro pagheranno pegno quando la recessione incomincerà a mordere.

È vero che il governo può andare avanti ancora un po’, sospinto dalla paura dei grillini di tornare alle urne e da quella leghista di non ottenere nuove elezioni e dover subire un governo tecnico o tra 5 Stelle e Pd; ma nessun governo può reggere la pressione del dissenso popolare e delle parti sociali, tantomeno un governo populista. La strada è segnata ma l’agonia può essere lunga.



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