Skip to main content

Obiettivo secondo mandato. Le battaglie strong di Trump in cerca di consensi

usa, siria isis iran, protezionismo, trump, dazi, cina, economisti, singapore

L’amministrazione Trump procede tra i marosi delle dinamiche di Washington. Un nuovo scossone ha recentemente caratterizzato la Casa Bianca: il ministro dell’Interno, Kirstjen Nielsen, ha rassegnato pochi giorni fa le dimissioni, evidenziando come i rapporti con il presidente avessero ormai raggiunto un punto di non ritorno. Un tempo braccio destro del generale Kelly (anche lui caduto vittima, mesi fa, dell’acrimonia presidenziale), Nielsen era stata più volte accusata di non essere in grado di attuare le politiche restrittive in materia di immigrazione, auspicate dalla Casa Bianca. Ora, il suo siluramento potrebbe preludere a una svolta: nonostante non pochi commentatori sostengano che questo evento indebolirebbe la linea dura sulla questione del confine meridionale, in realtà la situazione potrebbe rivelarsi ben differente.

Ed è abbastanza evidente infatti che Trump voglia tirar dritto sul dossier del muro: non solo il magnate ha recentemente aggirato – tramite veto presidenziale – la risoluzione del Congresso che aveva cercato di bloccarlo. Ma adesso vuole anche rafforzare la sua linea in termini di operatività in seno all’esecutivo. Ecco quindi che Trump va avanti nettamente: non è del resto un mistero che la questione migratoria rappresenti un fattore fondamentale in vista delle presidenziali del 2020. Anche perché – sarà forse un paradosso – ma il tema della difesa dei confini sta iniziando a fare breccia anche nel Partito democratico: il candidato socialista, Bernie Sanders, ha guarda caso affermato di non sostenere la politica dei “confini aperti”. Certo: le alte sfere dell’Asinello hanno annunciato di voler intraprendere un’opposizione di tipo giudiziario al muro trumpista: ma non è esattamente chiaro quanto questa strada possa rivelarsi efficace. Non è infatti escludibile che un domani la Corte Suprema possa pronunciarsi a favore del magnate che – alla fine – su questa materia si è richiamato al National Emergencies Act del 1976. Una legge federale e non un decreto arbitrario.

Tuttavia la questione del muro non è l’unico elemento su cui Trump inizia a ben sperare. Il ministro della Giustizia, William Barr, ha dichiarato che il rapporto del procuratore speciale, Robert Mueller, sarà reso pubblico nei prossimi giorni e non si attendono quindi rivelazioni eclatanti che possano ribaltare le conclusioni dell’inchiesta Russiagate, divulgate poche settimane fa. Non solo: perché il Dipartimento di Giustizia sarebbe anche intenzionato a indagare sulle modalità con cui l’Fbi dell’era Obama abbia iniziato a investigare sul comitato elettorale di Trump nell’estate del 2016. Un altro fattore che rafforza il presidente e che potrebbe fornirgli un assist in vista della campagna elettorale del 2020.

Del resto, che il magnate guardi a quella scadenza è parzialmente testimoniato anche dall’annuncio dei nuovi dazi contro l’Unione Europea: circa undici miliardi di tariffe che dovrebbero colpire numerosi prodotti (soprattutto alimentari), importati dal Vecchio Continente. Formalmente la minaccia nascerebbe come risposta ai sussidi europei a favore di Airbus. Ma, più nello specifico, è chiaro che questa mossa presenti una ragione di natura fondamentalmente elettorale. Non dimentichiamo infatti che Trump abbia da sempre fatto del protezionismo economico un cavallo di battaglia per accattivarsi le simpatie della classe operaia impoverita della Rust Belt. Una quota elettorale, destinata a rivelarsi fondamentale anche alle prossime presidenziali. Dal momento che adesso le tensioni commerciali con la Cina sembrerebbero vicine a una conclusione, la Casa Bianca ha necessità di aprire un nuovo fronte di scontro, proprio per rinverdire l’efficace messaggio elettorale del 2016. In altre parole, Trump sta cercando di evitare che gli operai possano tornare tra le file del Partito Democratico. E, in questo senso, i dazi antieuropei potrebbero avere principalmente proprio questo obiettivo. Ed è d’altronde noto che il consigliere al Commercio del presidente, Peter Navarro, sia storicamente un aspro critico tanto di Pechino quanto dell’Europa. La situazione è quindi incandescente. E la battaglia elettorale è appena cominciata.



×

Iscriviti alla newsletter