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Conte e Juncker partono in salita. Ecco che cosa divide Roma da Bruxelles

La posta in gioco, nemmeno a dirlo, è alta. Tante volte lo è stata, ma stavolta forse è diverso. I rapporti tra Roma e Bruxelles non sono mai stati così difficili e per questo domattina alle 9, quando Giuseppe Conte incontrerà il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, da parte italiana occorrerà una certa abilità nel rassicurare il governo comunitario sul futuro dell’Italia. Come a dire, nonostante tutto, il Paese ce la farà. Il vertice di questa sera però, parte tutto in salita e non è difficile immaginare il perché. Le stesse parole della vigilia di Juncker (“i problemi dell’Italia non potranno che aumentare, il governo cerca di prendere provvedimenti che permettano al Paese di crescere. Voglio crederci, ma non ne sono certo”), danno la cifra della sfiducia che si respira in Ue se l’argomento della discussione è proprio Roma.

Tanto per cominciare, l’Italia è l’unico Paese europeo che chiuderà il 2019 con crescita zero, e non lo ha detto solo l’Fmi, ma anche le agenzie di rating Fitch, Standard&Poor’s e Moody’s. Tutti gli altri partner europei si sono sì visti ridurre le stime del Pil, ma comunque vanno avanti invece di arretrare. L’Italia no. Per l’Ue è un gran bel problema visto che il Pil dell’Eurozona viene calcolato sulla base dei tassi di crescita nazionali. Ed essendo l’Italia la seconda manifattura europea, l’impatto sul Pil Ue è doppio.

Un altro ostacolo al dialogo tra Juncker e Conte, sono i conti pubblici. Al netto del fatto che Bruxelles non ha mai digerito le due misure bandiera del governo gialloverde, vale a dire reddito di cittadinanza e quota 100, il vero problema è il deficit. L’Italia ha pattuito lo scorso dicembre un disavanzo del 2%, come condizione per vedersi approvata la manovra. Adesso però il Def che verrà approvato (salvo intoppi) a fine aprile, porterà in dote un deficit al 2,4%, che secondo i calcoli di Confindustria salirà al 2,6% entro fine anno. Addirittura al 3,5% se il governo dovesse decidere di disinnescare le clausole Iva (ma servono 32 miliardi). Troppo da sopportare per l’Unione, la quale già a luglio potrebbe chiederci una manovra correttiva da 9-10 miliardi che però l’esecutivo gialloverde non ha la benché minima intenzione di attuare. E allora si aprirebbe un altro fronte.

Ancora. Sempre nella manovra l’Italia ha pattuito 18 miliardi di privatizzazioni tra cessioni e riduzioni di capitale nelle partecipate, introiti con cui iniziare a ridurre il terzo debito pubblico mondiale. Almeno per il momento, nulla di tutto questo è stato fatto. Se a tutto questo questo si aggiunge una disoccupazione che proprio oggi ha dato segni di risveglio (è tornata al 10,7%), allora il quadro del vertice serale è completo. C’è un’ultima questione, gli investimenti. Una voce del bilancio che Bruxelles ha sempre giudicato essenziale ai fini della crescita del Paese. In settimana il governo dovrebbe approvare il decreto per la crescita, con in dote la semplificazione di alcune procedure per lo sbloccare i cantieri. Provvedimento però nel quale non rientra la Tav. Opera che Juncker vorrebbe vedere completate il prima possibile, anche perché come ricordato dallo stesso politico lussemburghese, all’Ue costa quasi 900 milioni. Ma il governo, si sa, è spaccato e per ora la Tav è ferma.

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