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L’attivismo di Kim: vedrà Putin e prova a mettere pressione agli Usa

La scorsa settimana ci sono stati alcuni passaggi che hanno vivacizzato l’asfittico dossier sulla denuclearizzazione nordcoreana, e il satrapo di Pyongyang, Kim Jong-un, ha subito colto l’occasione per andare in pressing. Contatti tra Seul e Washington, messaggi di vicinanza di Pechino al Nord, l’apertura di Kim a un nuovo vertice con il presidente americano.

Oggi il Cremlino ha fatto sapere che a fine aprile (ossia: la prossima settimana; data probabile: il 24 dicono i meglio informati) il nordcoreano sarà accolto a Mosca dal presidente Vladimir Putin. La capitale russa in questi due giorni è già stata al centro di un paio di movimenti diplomatici interessanti.

Fiona Hill, direttrice dell’ufficio che si occupa di affari europei e della Russia per il Consiglio di Sicurezza nazionale, era stata a Mosca per colloqui con la sua controparte russa Yuri Ushakov. Sempre a Mosca, per altri incontri, c’era Stephen Biegun il diplomatico cui l’amministrazione statunitense ha formalmente affidato il dossier nordcoreano (si scrive “formalmente” perché poi Donald Trump con i faccia a faccia diretti con Kim scavalca in un colpo solo tutto il sistema creato dal suo apparato).

Ieri lo chef di corte nordcoreano, Kim Chang Son, è stato intercettato vicino alla stazione ferroviaria di Vladivostok. Kim se lo porta sempre dietro (certi dittatori hanno un rapporto piuttosto paranoico con la sicurezza, che deve passare pure dai piatti di cui si nutrono). Una sua visita di preparazione logistica aveva anticipato i vertici con Trump a Singapore e Hanoi, e dunque c’è un indizio che Vladivostok potrebbe essere il luogo dell’incontro con Putin – tra l’altro è raggiungibile in treno, mezzo su cui Kim ama viaggiare seguendo le orme del nonno. 

Mercoledì il dittatore nordcoreano ha fatto montare una postazione mobile all’Accademia della scienza della difesa di Pyongyang e si è seduto a guardare il test di una “nuova arma tattica” insieme a Ri Pyong Chol e Kim Jong Sik, due alti funzionari del regime, entrambi sotto sanzioni statunitensi per le loro attività relative al programma missilistico.

Il test è stato il secondo cui Kim ha presenziato negli ultimi cinque mesi (dopo la pausa del 2018). Non è chiaro se si tratti di un avanzamento nel programma della stessa arma di novembre, ai tempi definita “ultra-moderna”, ma si sa che ha riguardato un vettore da crociera, non un missile balistico (il Norad, North American Aerospace Defense Command, e lo StatCom dicono di non aver rivelato movimenti: dunque nessun missile è andato in orbita).

Su questo Pyongyang ha potuto giocare. Il test serve a Kim per rassicurare i massimalisti interni al regime a una settimana della riconferma alla guida della nazione, e anche per mandare messaggi a Washington e alla Comunità internazionale (messaggio tra i vari: la scelta dei partner con cui osservare il test).

È una sorta di pressione esercitata militarmente, ma senza sforare le risoluzioni con cui l’Onu ha impedito lo sviluppo di armi balistiche alla Corea del Nord. Una violazione avrebbe messo Kim in difficoltà sul campo dei negoziati – che vedono l’allentamento delle sanzioni asfissianti imposte dal Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite e dagli Usa condizionato al disarmo, più che altro nucleare, del Nord.

Nel sistema di pressioni con cui Kim sta cercando di giocare la partita rientrano anche il contatto con Putin, che da tempo vuole entrare nella partita strategica nordcoreana, così come i flirt ravvivati la scorsa settimana con Pechino. Nei giorni scorsi, sono anche state diffuse dal solito CSIS alcune immagini satellitari che mostravano l’aumento delle attività a Yongbyon, un sito collegato al programma nucleare.

Dopo il fallimento dell’ultimo faccia a faccia in Vietnam, Kim cerca di pressare Trump che ha investito capitale politico nei colloqui, e prova a dettare la linea dei negoziati. La scorsa settimana ha dato addirittura un ultimatum agli Stati Uniti per arrivare a un accordo: fine anno.

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