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La Casa Bianca ora apre il dossier Libia. Ecco come (e perché)

Se finora la Libia è stato un dossier su cui gli Stati Uniti si sono mossi in modo più distaccato, ci sono alcuni segnali diretti che indicano come la crisi a Tripoli potrebbe diventare d’interesse americano, inserita in un quadro più ampio e regionale: quello del Mediterraneo. Una ricostruzione basata sui fatti.

Ieri, il Consiglio di sicurezza nazionale statunitense, guidato da John Bolton, ha smentito un’esclusiva della Bloomberg secondo cui il presidente Donald Trump (e prima lo stesso Bolton) avrebbe dato via libera all’offensiva del signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar, per rovesciare il governo onusiano di Tripoli. Tutto sarebbe avvenuto in un’ormai famosa telefonata di lunedì scorso (forse arrivata su pressioni egiziane), ma il Consiglio considera la ricostruzione inesatta e invita il media newyorkese a non diffondere false informazioni.

Nelle stesse ore, il segretario di Stato, Mike Pompeo, stava incontrando il ministro degli Esteri del Qatar: Doha è considerata uno dei paesi che dà supporto alle milizie tripoline e soprattutto misuratine che difendono Tripoli dall’aggressione di Haftar. Foggy Bottom ha già espresso la sua linea, chiede lo stop dei combattimenti e la ritirata di Haftar, e su questa posizione sta anche il Pentagono senza ambiguità. Traiettoria ancora più netta quella presa dal consigliere informale del presidente Trump, il senatore Lindsey Graham, voce molto ascoltata dalla Casa Bianca sul campo “Esteri”, che in una serie di interviste s’è schierata in difesa del governo Onu, e condannato l’attacco di Haftar come un non-percorribile tentativo di farsi spazio con la forza delle armi.

Sono giorni cruciali: lo sforzo delle Nazioni Unite per riportare la situazione a un minimo di stabilità, deporre le armi e riavviare i negoziati, è nella fase di massima spinta (anche perché il conflitto rischia di scivolare in un’altra sanguinosa guerra civile con contraccolpi su immigrazione e terrorismo). Ieri il delegato speciale dell’Onu per la crisi, Ghassan Salamé, era alla Farnesina a chiedere all’Italia di farsi voce autorevole della richiesta di cessate il fuoco e riavvio del percorso politico, anche tramite la riorganizzazione della Conferenza saltata a causa del tentato scacco su Tripoli. In una stanza non troppo distante da quella in cui Salamé incontrava il ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi, il segretario Generale della Farnesina, l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, era a colloquio con l’assistente segretario di Stato americano per il Medio Oriente, David Satterfield. In agenda: la Libia, ma anche altre questioni regionali.

La crisi libica è parte della situazione nel Mediterraneo, un quadrante geopolitico in cui gli Stati Uniti non intendono restare indietro, e dimostrano questo interesse con messaggi più o meno diretti e muscolari inviati a quelle che Washington inquadra come “potenze rivali” nel suo ultimo documento strategico: Russia e Cina.

Pechino e Mosca sono piuttosto attive nell’area, cercano di veicolare la propria influenza — i primi con gli investimenti, gli altri con dinamiche più indirette, politiche — e di creare, anche in partnership, sistemi per penetrare l’area. E allora diventa interessante sottolineare una tempistica: mentre a Pechino si svolge il Forum internazionale sulla Nuova Via della Seta (network infrastrutturale e geopolitico che ha un hub fondamentale nel Pireo, e punta ad altri porti nel Mare Nostrum); e mentre a Mosca è in corso la Conferenza internazionale sulla Sicurezza (che s’è data l’ambizioso compito di studiare policy per stabilizzare l’area Mena, Medio Oriente Nord Africa); la Casa Bianca sembra aprire il fascicolo Libia e due portaerei classe Nimitz della US Navy entrano contemporaneamente nel Mediterraneo.

Per la prima volta dal 2016, la “USS John C. Stennis” e la “USS Abraham Lincoln” hanno ricevuto l’ordine di coordinare i gruppi di attacco in attività di risposta rapida nello stesso bacino. Non solo dunque le due navi, che possono trasportare fino a 120 aerei ciascuna, ma anche l’articolato sistema che le accompagna: un incrociatore con missili guidati, due cacciatorpediniere, un sottomarino d’attacco e una nave di rifornimento per supporto logistico. Ognuna.

Oltre la tempistica indicata, ci sono altri segnali più diretti che questo schieramento diplomatico-militare riguardasse un’operazione di deterrenza concentrata sui rivali, soprattutto Mosca. Il profilo Twitter della US Naval Force Europa/Africa/Sesta Flotta nel tweet in cui ha condiviso lo spostamento mediterraneo — linkando un reportage da bordo della Cnn — ha taggato gli account dell’ambasciata americana in Russia e quello russofono della US Navy. Dal ponte della Lincoln, il contrammiraglio John Wade, comandante di Carrier Strike Group 12, ha detto alla Cnn che il coordinamento è estremamente importante in quanto il predominio militare statunitense nel mondo è sempre più sfidato da potenze in ripresa come la Russia e la Cina. Non solo: il fatto che la Russia (che tra l’altro sulla Libia ha cercato di smarcarsi dall’attacco a Tripoli, ma ha da sempre sostenuto Haftar) sia uno dei due destinatari del gioco di potere degli Stati Uniti nel Mediterraneo è stato chiaro quando Jon Huntsman, l’ambasciatore statunitense a Mosca, è salito a bordo del gruppo d’attacco del vettore definendolo “200mila tonnellate di diplomazia”.

Gli Stati Uniti hanno dimostrato forte interesse anche nella porzione orientale del bacino. Un’area ricchissima di risorse naturali, in cui si sta creando un allineamento tra Grecia, Cipro e Israele (e teoricamente Italia) attorno al gasdotto EastMed che dovrebbe collegarsi all’Europa continentale e tagliare parte della dipendenza dalla Russia.

Sull’EastMed Washington ha buttato il suo peso diplomatico, sposando il progetto pubblicamente. La vicenda del gasdotto, su cui il governo italiano non trova una decisione definitiva, apre uno scenario per Roma. Se l’interessamento americano al Mediterraneo ci rafforza con Washington, almeno da un punto di vista potenziale, le prerogative con cui l’America intende giocare le proprie dinamiche nel bacino mette l’Italia spalle al muro riguardo al Cremlino.

“Foto, Twitter, @USnavyEurope”

 



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