“Penso sia giusto che il public affairs sia presto riconosciuto come disciplina manageriale”. E ancora, sulle novità che stanno interessando questo settore: “Ormai siamo nell’epoca della contaminazione necessaria tra relazioni istituzionali e comunicazione“. Parola di Giulio Di Giacomo, manager degli affari istituzionali con un passato alla presidenza del Consiglio e in Confindustria e un presente in Tim, autore del libro dal titolo “Marketing istituzionale & Public Affairs” edito da Franco Angeli, con le prefazioni del direttore della Luiss Business School Paolo Boccardelli e di Greta Nasi, director of Research for Government della School of Management della Bocconi. Il volume, presentato nelle scorse settimane alla Luiss Business School e alla Link Campus University, si propone come un vero e proprio manuale per chiunque svolga o intenda intraprendere questa attività, con l’obiettivo di promuovere un corretto modo di lavorare delle imprese verso la pubblica amministrazione. A partire dalla definizione di modelli di analisi e di azione e di strumenti di programmazione strategica che facilitino la conoscenza di un’istituzione e la creazione di un rapporto di collaborazione e che consentano di affrontare in modo più adeguato le criticità che si possono presentare. Un libro che ha nel suo stesso titolo un concetto molto poco utilizzato quando si parla di public affairs: quello di marketing istituzionale.
Di Giacomo, cominciamo da questo punto. Cosa si intende per marketing istituzionale?
Nel mio libro utilizzo il concetto di marketing secondo la definizione formulata da Philip Kotler nel 1967. E, quindi, creazione di valore all’interno dell’impresa e suo trasferimento verso le istituzioni con le quali occorre creare un rapporto che sia a 360 gradi. In chiave normativa, progettuale, di co-investimento, di collaborazione, di definizione di strategie.
Nel libro si parla molto di innovazione. Ma come si fa a innovare in un settore come gli affari pubblici?
Non mi riferisco a innovazioni tecnologiche o semplicemente organizzative ma di approccio nelle modalità del dialogo con gli interlocutori istituzionali. L’innovazione in questo senso consiste nella capacità di fornire letture diverse e schemi di analisi differenti e, soprattutto, nel trasferimento delle informazioni in un’ottica di totale trasparenza. Infine, l’innovazione che la nostra impresa realizza deve essere valorizzata anche in chiave relazionale, uno di quegli argomenti di confronto che non è mai tabù.
In che modo l’innovazione gioca nelle relazioni?
La chiave è la creazione di un rapporto di totale collaborazione attraverso l’apertura di tavoli permanenti, di comitati di interlocuzione o di gruppi per la gestione anticipata delle criticità e del rischio. Le relazioni istituzionali spesso sono state gestite in via estemporanea, come public relations lasciate al singolo. Ma non deve essere così per forza. A mio avviso, anche nel mondo del public affairs, occorre avvalersi di tecniche manageriali in termini di strategia, organizzazione e marketing.
Quindi il tutto non si esaurisce nella fase normativa?
Esattamente. In letteratura tecnica, in italiano, c’è poco e la maggior parte dei testi esistenti, di qualità anche molto importante a mio avviso, è focalizzata sull’azione di lobbying a fini normativi, come la gestione degli emendamenti per fare un esempio, mentre c’è invece una trattazione secondaria di tutte le altre possibili metodologie di interlocuzione con l’amministrazione pubblica. A differenza di quanto avviene nel mondo anglosassone. In questo libro ho cercato di mettere a sistema tutto ciò che esiste in termini di strumentazione tecnica, con l’obiettivo di fare un po’ chiarezza su quella che viene percepito troppo spesso come una materia nebulosa nella quale si tende di più a nascondere che a far vedere.
Quale è la parte la parte che considera più interessante del suo libro ?
Ci sono due grandi sforzi di sistematizzazione: la lettura del contesto e la definizione dei processi di base di un’attività di marketing istituzionale. Tuttavia, la sezione che prediligo è quella relativa alla costruzione della strategia relazionale: descrive puntualmente il ruolo che le relazioni istituzionali dovrebbero avere in sede di definizione della strategia aziendale e getta le basi per la misurazione del contributo dei public affairs al raggiungimento degli obiettivi.
Questo significa che introduce dei modelli per la misurazione dei risultati dell’azione di public affairs?
Diciamo che fa qualcosa di diverso: cerca di evitare che questa domanda venga posta in questi termini. Mi spiego, periodicamente viene chiesta agli addetti alle relazioni istituzionali – a qualsiasi livello – una quantificazione dei risultati della propria attività. La domanda è più che lecita, non avrebbe infatti senso per l’azienda investire in attività sterili, tuttavia l’azione di public affairs per essere realmente valutata deve essere inserita in un contesto di processi e obiettivi aziendali più ampi, solo così sarà possibile quantificarla. Nel testo sono recuperati i modelli tradizionali di valutazione, ma è descritto anche questo sistemico, più efficace e veritiero.
E intanto la comunicazione è diventata sempre più importante, anche nel public affairs. Non è così?
Certamente, ormai siamo nell’epoca della contaminazione necessaria tra le relazioni istituzionali e la comunicazione. Due discipline che vivono di tipologie di messaggi posti in maniera diversa ma che devono essere conciliate. Penso ad esempio, ma non solo, alla rete e soprattutto ai social che oggi sono diventati strumenti imprescindibili per relazionarsi con le istituzioni.
Cosa pensa della nuova generazione di lobbisti?
Penso che siano bravissimi. I trentenni che vedo operare sia nelle imprese che nelle società di consulenza oggi sono molto preparati, proattivi e determinati. Il nostro Paese sta compiendo un salto in avanti su questi temi e penso sia giusto che i public affairs siano presto riconosciuti come disciplina manageriale.