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All’Onu non c’è accordo sulla Libia. Per Maitig, la Russia non appoggia Haftar

Ieri sera, durante un’intervista concessa a Libya al Ahrar, e rilanciata da Nova, il vicepremier libico Ahmed Maitig ha parlato di diversi aspetti riguardanti l’insieme della crisi, con particolare attenzione ai negoziati falliti all’interno del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite – dove ieri non si è raggiunto l’accordo su una bozza di risoluzione promossa dal Regno Unito per invocare un rapido cessate il fuoco che i membri avrebbero dovuto votare oggi.

Prima di andare avanti, vale la pena ricordare che Libya al Ahrar è un rete televisiva satellitare con quartier generale a Doha, in Qatar, creata durante la rivoluzione del 2011; un’altra dovuta distinzione per completare il quadro: il Qatar è tra i principali attori esterni che sostengono alcune delle milizie fedeli al progetto di governo onusiano guidato da Fayez Serraj di cui Maitig è il vice.

Il libico ha parlato di divisioni all’interno del Consiglio: è “spaccato”. È un aspetto interessante: Maitig precisa che “la Russia non appoggia Khalifa Haftar”, e dunque non sostiene l’aggressione che il signore della guerra dell’Est libico ha lanciato verso Tripoli, ossia contro il proto-governo Serraj e l’Onu.

È un distinguo importante che arriva da una delle massime cariche in funzione in Libia, perché la Russia è considerata una degli sponsor esterni di Haftar fin da quando aveva palesato la liaison ospitando l’autoproclamato Feldmaresciallo a bordo della “Kuznetsov” la fatiscente portaerei russa che era stata schierata per deterrenza davanti alla Siria durante la stretta finale su Aleppo (era il gennaio 2017, ora la nave è ferma per riparazioni in un cantiere di Murmask da innumerevoli mesi).

Risalendo il Mediterraneo, la portaerei s’era fermata davanti a Bengasi, aveva imbarcato Haftar cui era stata concessa una photo-opportunity sul ponte e un dialogo in teleconferenza con il ministro della Difesa Sergei Shoigu. Da lì c’erano stati una serie di contatti, molti informali, e forse un appoggio di qualche contractor a terra a sostegno delle sue operazioni militari nella Cirenaica. Le informazioni circolate dopo la riunione preliminare del consiglio dell’Onu di ieri dicevano che la Russia aveva chiesto di rivedere la bozza perché troppo severa con Haftar.

Secondo Maitig “ci sono alcune parti internazionali [nel Consiglio Sicurezza Onu (CdS)] che appoggiano Haftar e altre che ritengono che il Governo di accordo nazionale non sia in grado di proteggere Tripoli, ma noi siamo sicuri del contrario”. Se la Russia non è, allora l’elemento critico nei cinque con seggi permanente potrebbe essere la Francia.

Gli altri: la Cina sembra meno impegnata, difficilmente prende posizioni forti, e nel quadro generale degli interessi di Pechino la stabilità è l’elemento fondamentale per una proficua armonia. Gli inglesi hanno storici contatti con Misurata la città-stato che sta curando la difesa di Serraj, Londra ha definito una follia illegale l’assalto haftariano a Tripoli e hanno promosso loro la risoluzione al CdS; dunque pochi dubbi. Gli Stati Uniti hanno un ingaggio relativo, comunque pro-Onu, e pressavano affinché la bozza fosse approvata prima di venerdì, per evitare altri scontri.

Parigi ha avuto un atteggiamento ambiguo. Tre anni fa, all’interno della base aerea di Benina, vicino Bengasi, sede delle forze armate di Haftar, c’erano acquartierati alcuni operativi delle forze speciali francesi e dell’intelligence. Non è una leggenda. Il 17 luglio del 2016, un elicottero di Haftar fu abbattuto da un missile anti-aereo Manpad sparato da una delle milizie islamiste che le forze del generalissimo stavano combattendo: tra i resti del velivolo, caduto nella zona di Magrun, a Sud di Bengasi, furono trovati i corpi e i documenti di tre operativi della Dgse il comparto esteri dei servizi segreti francesi.

L’allora ministro della Difesa Yves Le Drian (ora agli Esteri per l’Eliseo Macron) fu costretto ad ammettere la perdita con imbarazzo, dopo aver negato per mesi quello che i giornali, tramite le proprie fonti, avevano abbondantemente rivelato. I francesi erano anche a Bengasi. La Francia conserva ancora un interesse per Haftar su cui ha investito anche in accoppiata con gli Emirati Arabi, anche se finora ha espresso dichiarazioni a favore del percorso della Nazioni Unite e contrarie all’avanzata su Tripoli, diventata via via più scomoda col crescere della violenza e dei bombardamenti indiscriminati che hanno ucciso dozzine di civili.

Sarebbe importante sapere se Maitig si riferiva a qualcuno dei membri non permanente, Belgio, Germania, Indonesia, Sud Africa, Repubblica Domenicana, Costa d’Avorio, Guinea Equatoriale, Perù, Kuwait, Polonia. Per esempio, cosa chiedono in cambio questi paesi per votare una risoluzione contro Haftar come quella promossa dagli inglesi ieri? Ci sono alcune nazioni che stanno utilizzandone altre come proxy per boicottare il voto?

Ufficialmente sono stati Costa d’Avorio, Guinea e Sud Africa a bloccare la risoluzione – motivo formale: hanno insistito perché ci fosse un riferimento a una dichiarazione dell’Unione africana sulla necessità per tutte le parti che combattono a Tripoli di proteggere i civili compresi migranti e rifugiati. Per il momento non è stato possibile avere maggiori dettagli.

Proseguendo lo screening nel CdS, non si può che considerare piuttosto certa la posizione della Germania, per dimensione l’attore più importante tra gli attuali membri non permanenti del CdS, e presidente di turno. Berlino, che aveva convocato per oggi la seduta in forma urgente, è ufficialmente schierata con il progetto onusiano, e ha avuto recentemente contatti con l’Italia per lavorare insieme a una roadmap di de-conflicting. Dalla cancelleria tedesca s’è alzata la prima voce europea che ha chiesto ad Haftar di fermarsi.

Nei giorni scorsi Maitig è stato a Roma, da dove ha poi proseguito la sua missione verso Berlino e Londra: contatti tutti giocati nell’ottica di una richiesta di aiuto e protezione di Haftar, per evitare bagni di sangue e destabilizzazione nel Mediterraneo, dunque in Europa.

Altra visita interessante di Maitig, in questa fase incessante di relazioni diplomatiche per riportare la crisi lontana dalle armi, è stata in Tunisia. Ieri il capo di stato Beji Caid Essebsi lo ha ricevuto nel palazzo presidenziale di Tunisi: i due hanno parlato di come evitare un’escalation e dei rischi per i paesi vicini. La situazione libica non può d’altronde essere trattata in modo isolato, è tutta un’area di interesse, una faccenda regionale.

E da qui il ragionamento passa a un attore che in queste ultime settimane è stato più volte tirato in ballo per l’interessamento sull’area nordafricana, passando anche dalla Tunisia con ripercussioni in Libia: l’Arabia Saudita. Secondo un’indiscrezione girata da una fonte del governo saudita al Wall Street Journal, Riad avrebbe finanziato l’avanzata di Haftar su Tripoli.

Sarebbe un ragionamento che fila tenendo conto che le milizie tripoline sono sostenute dal Qatar, con cui i sauditi sono in rotta diplomatica, e dalla Turchia, con cui Riad si scontra per il dominio politico sul mondo islamico. Acredini che hanno come piano di sfogo la Fratellanza musulmana, considerata organizzazione terroristica in Arabia Saudita, e invece ispirazione a Doha e Ankara. E che si inquadrano con l’allineamento tra sauditi ed emiratini (più smaccatamente pro-Haftar). E allora: Riad ha forza nel CdS Onu per veicolare certe votazioni?

Ma no, Maitig dà anche su questo un’altra informazione importante: “Siamo in continuo contatto con i sauditi e non abbiamo prove di un loro sostegno tangibile a Haftar”.

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