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Il mediterraneo di Bergoglio unisce la Parigi dei lumi e i tre monoteismi

Quando padre Antonio Spadaro mi ha sorpreso chiedendomi di parlare del seminario Essere mediterranei, promosso da Civiltà cattolica, vuol dire formulare qualche ringraziamento.
Partirei da dove per me tutto comincia, l’incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio nel 1995, quando tentò di favorire un dialogo nazionale algerino: ricordo benissimo il vasto fronte di grandi firme del mio mondo, cioè laiche, libertarie e di sinistra, che si unirono a tante altre di destra e di estrema destra: si ritrovarono tutte vicine ai generali algerini e ostili a quel dialogo sostenuto dai berberi, dai socialisti e da un ex presidente criticabile ma pur sempre scacciato da un golpe militare.

Un equivoco? Se fosse stato così sarebbe stato superato dopo quel comunicato del Gia, il gruppo islamico armato, in cui si sbagliavano le citazioni coraniche. L’aveva scritto un mercante di pollami trasformatosi o trasformato, non so, in imam. Quel tentativo ci poneva davanti a una domanda ineludibile: come mai destra e sinistra su temi così di fondo convergevano? Ritengo che quelle sinistre si innamorarono dei generali ritenendoli rivoluzionari antimperialisti, le destre, più concrete, vi riconobbero dei generali. Molte voci a sinistra hanno seguitato a credere che gli antimperialisti alleati di Mosca non sbaglino mai, anche dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, anche se compiono dei genocidi, ritrovandosi al fianco delle nuove destre anche nel 2011, che ha cementato questo campo trasversale di cantori di un’ipotetica antagonismo anti-imperialista.

Dunque in quel lontano 1995 è emersa la subalternità di tanta sinistra e l’adesione della destra radicale allo scontro di civiltà. Non ho seguito gli sviluppi della tragedia algerina, ma quella vicenda ha fatto di me un senzatetto innamorato della sua scoperta, il Mediterraneo, non dei generali. Ritengo che sia cominciata allora una dolorosa traversata del deserto, fino alla sera in cui il neoeletto Papa Francesco, definendosi “vescovo di Roma”, ha obbligato molti a chiedersi se quel vescovo non offrisse a chi non voleva piegarsi all’ideologia dello scontro di civiltà un tetto comune, soprattutto dopo quel viaggio profondamente mediterraneo e umanista, il suo primo, a Lampedusa. Ed è strano un tetto vescovile per tutti, anche per chi resti un agnostico ma chi non si piega all’ideologia dello scontro di civiltà: lo aiuta a capire che le identità sono plurime e quindi a scoprire che sotto il tetto di Jorge Mario Bergoglio è rispettato nell’accoglienza.

In questo tempo che ci vuole convincere di un’incredibile bugia, che le identità non sono plurime, Jorge Mario Bergoglio ha dunque offerto un riparo a chiunque riconosca che le identità sono plurime, come quella del Mediterraneo. Ecco perché è decisivo riconoscere in Bergoglio l’autorità morale del Terzo Millennio, anche per via di due sviluppi importanti rispetto al passato. Da figlio dell’est e papa dell’est Giovanni Paolo II ha saputo incarnare il no al bipolarismo ideologico del Novecento, Bergoglio respinge il nuovo bipolarismo, ma lo fa fronteggiando il tentativo di chi vuole trasformare le religioni in ideologie contrapposte, che giustifichino i nuovi blocchi asservendo ai nuovi poteri religioni civili.

Qui emerge il primo ruolo che deriva dal riconoscere l’autorità morale globale di Jorge Mario Bergoglio: rispettare le religioni spirituali come parte di chi le riconosce per respingere le religioni civili, cesaropapiste, identitariste, strumento di potere. Il bivio non è più quello che si disse tra laicità e confessionalismo, ma tra pluralismo e cesaropapismo. Allora il pluralismo oggi riparte dal Vaticano!

Il secondo progresso è connesso con questo: la leadership morale globale di Bergoglio non annette alla corazzata cattolica, ma offre a tutti l’opportunità di riscoprire i propri valori, nel nome del vivere insieme. Dunque tutti coloro che ne riconoscono la leadership morale globale hanno un ruolo da svolgere, anche i cosiddetti figli dei lumi: non quello di sperare che questo papa fallisca per confermarsi nel loro dogma infantile, “ecclesia semper irreformanda”, cioè oscurantista, ma riconoscere che la radice di alcuni loro impegni è stata nel no al clericofascismo ma è cresciuta in un corpo ormai alimentato da individualismo e consumismo.

I figli di lumi che non vedono più dovrebbero rileggere almeno l’inizio della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789: i rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo […] Di conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino.

Proprio il Mediterraneo ci dimostra che senza Bergoglio saremmo già immersi in una guerra mondiale tra religioni civili. Ed è lecito chiedersi se al Tayyeb sarebbe andato ad Abu Dhabi se Bergoglio non fosse andato a Lampedusa? E perché poi un papa avrebbe potuto non andare a Lampedusa? Solo una religiosa cattolica siriana ha illustrato il progetto globale incompatibile con Lampedusa quando ha detto che “il presidente, il popolo e l’esercito sono la nostra Trinità”.

Da leader morale globale Bergoglio non ha contrapposto a questo disegno di riorganizzazione mondiale delle fedi una santa alleanza sebbene tra fedi e non più imperi, no: ha voluto e saputo portare al Azhar a unirsi a lui nella scelta di estendere la proposta alleanza a tutti gli umanisti, anche agli eredi di quel pensiero illuminista che si simboleggia con Parigi, diventando il papa del Mediterraneo, che unisce l’umanesimo dei lumi e dei tre monoteismi.

So che alcuni lo dipingono ora come un luterano, ora come un comunista, ora come un fautore dell’invasione islamica. Tra questi non mancano, in modo magari ufficioso, patriarchi dell’Oriente cristiano. Ma secoli fa uno di loro, il patriarca della Chiesa nestoriana Isho’yhab, stanco delle persecuzioni bizantine, scrisse: “gli arabi non perseguitano la religione cristiana, anzi la favoriscono, onorano i nostri sacerdoti e i santi del Signore e conferiscono benefici alle chiese e ai monasteri”.

Non sono un nestoriano, ma per me, probabilmente come per il patriarca Isho’yhab, è più difficile il dialogo con chi ha chiamato “liberazione” la distruzione di Aleppo est che con molti musulmani. Lo ritengo importante perché per vivere insieme non bisogna essere uguali, occorre un linguaggio comune e la Dichiarazione di Abu Dhabi lo ha dato a tutti, credenti e non credenti. Qui riscontro un’arretratezza impressionante del pensiero laico. Mai come oggi è divenuto chiaro, grazie ad Abu Dhabi, che il vivere insieme riesce o fallisce nel Mediterraneo che vuol dire vivere insieme. La ricchezza che ci porta un cristiano orientale è il musulmano che è in lui. Non è un modo di dire: quanti arabi musulmani hanno studiato in scuole cristiane? Qui in Europa credo molti di meno. Così si capisce meglio e in termini non confessionali la gravità per gli arabi del minacciato esaurimento dell’esperienza arabo-cristiana, una finestra araba sul resto del mondo che solo la bancarotta politica araba poteva offuscare.

Il secondo grazie mi riporta al quattro febbraio scorso, quando rimasi di stucco assistendo alla firma di una dichiarazione di cui non si sapeva: in quel momento ho sentito l’urgenza di ringraziare il mio maestro Samir Frangieh, che l’Italia non conosce abbastanza ma che in Francia è stato insignito della Legion d’onore proprio per il suo impegno per il vivere insieme. Già nel 1982 questo trentenne maronita di formazione comunista che pochi anni prima criticava molti compagni per scarsa ortodossia, incontrò il leader della destra falangista, Pierre Gemayel, che disse: “oggi ho conosciuto un giovane di idee molto diverse dalle mie ma di grande visione e coraggio”.

Se quell’incontro fosse arrivato qualche mese prima la storia forse avrebbe potuto cambiare, ma Samir continuò per la sua strada e nella Beirut post bellica fondò il Congresso Permanente per il Dialogo. Ma mentre lo ricordavo ho sentito il bisogno di inviare un messaggio a padre Spadaro: “non riesco a crederci” Chi è fatto come me riesce a non credere non solo a quello che non vede, ma a volte anche a quello che vede. Intanto tornavo ai tanti incontri promossi dalla Comunità di Sant’Egidio ai quali da quando si sono conosciuti Samir Frangieh ha rinunciato una volta sola, per una crisi improvvisa connessa al terribile male che lo ha tormentato per anni.

Ed è stato proprio quando gli ho chiesto se fosse stato qualcosa di grave che mi ha detto: “aver avuto il tumore al cervello mi ha indotto a cercare di capire come funzioni. E sai cosa ho scoperto? Che in gran parte funziona per empatia. E cos’altro è stata la primavera araba se non una grande onda di empatia partita dalla Tunisia e arrivata fino alla Siria? Vedi, tutto quello in cui abbiamo creduto per anni oggi si riassume in due sole parole: vivere insieme”.

Capii quel che mi stava dicendo? Mi annunciava una crisi impensabile, quella dei respingimenti nel nome di falsi primati. La sintesi più efficace del discorso dei fondamentalisti in Medio Oriente oggi potrebbe essere presentata con lo slogan “Muslim first”, antesignano del più famoso “America first”. Non sono un cittadino del Levante, ma credo che il Levante come terra dove si sono incontrate le antiche e le nuove culture sia il luogo dove si invera o fallisce il nostro vivere insieme. O riusciamo a capovolgere i metri di giudizio di quanto accade nel Levante o diventeremo i naufraghi delle nostre antiche civiltà.

Dunque quel messaggio di incredulità lo ho scritto proprio a padre Spadaro per dirgli che Bergoglio ha un’enorme responsabilità: ci offre la possibilità di non sprofondare nel pessimismo della solitudine, quella solitudine che tanto piace ai sedotti dai sovranismi. Il suo viaggio con al-Tayyeb ha unito la Beirut degli antichi missionari che tradussero in arabo la Bibbia, la Cairo del Mohammad Abduh che recandosi a Parigi disse di non avervi incontrato un musulmano ma di avervi visto l’Islam e la capitale francese, simbolo di un rapporto illuminato con i diritti dell’uomo.

Questa Dichiarazione forse sarebbe debole se fosse sola, ma non lo è: la decisione del patriarca di Costantinopoli sull’Ucraina ne è stato un fondamentale antefatto. Chiesa Ortodossa in Ucraina, ha sottolineando giustamente il patriarca Bartolomeo, ricordando la terribile ferita dell’Holodomor, il massacro per fame dei kulaki ai tempi di Stalin: al patriarcato di Mosca avrebbero fatto meglio a pensarci prima di Bartolomeo.

E così arrivo all’ultimo ringraziamento che devo, quello a padre Paolo Dall’Oglio. Per amicizia? No, per avermi fatto capire che il dialogo è anche un fatto personale, ognuno di noi può arrivare a sperimentarlo tra la propria spiritualità e il proprio impegno sociale. Mi è diventato chiaro proprio qui, a Civiltà Cattolica, quando Nello Scavo ha raccontato di un profugo: scendendo da una nave bloccata per giorni al largo delle nostre coste, prima di guadagnare finalmente la terraferma si è tolto le scarpe per pregare, come prevede il suo rito: non è un musulmano, è un cristiano, ha scoperto Nello, chiedendoglielo.

Paolo, testimone dell’amore di Cristo per l’Islam, disse un giorno che molti, credenti e non, avrebbero avuto difficoltà a capire come Cristo amasse l’Islam, che è successivo: non vanno irrisi, spiegò, per questo all’ingresso delle nostre parrocchie dovremmo porre delle tavole cronologiche delle profezie che indicano il ritorno di Cristo alla fine dei tempi. Oggi nel nostro Mediterraneo che rischia il naufragio arrivano molti cristiani che sembrano figli non di Isacco, ma di Ismaele, il figlio scacciato.

Come gli altri anche loro appartengono a quello che Dall’Oglio ha chiamato il popolo eletto per esclusione. Chi osserva con indifferenza i loro naufragi mi conferma che i naufraghi siamo noi. Saremo cristiani, figli però né di Isacco né di Ismaele, ma di Ponzio Pilato. Credo che i nuovi figli di Ismaele, se mi è consentito chiamarli così, emergeranno però oggi nei discorsi sui vari paesi di questo Mediterraneo, spezzato, ingessato, dove il loro è il solo movimento, un movimento con una evidente forza pacificamente sovversiva di un ordine ingiusto.

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