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Quanta nebbia intorno alla Moby Prince

(seconda e ultima parte. la prima parte si può leggere qui)

In una notte con buona visibilità, in un tratto di mare di pochi chilometri quadrati illuminato dalle luci della città, del porto e dai fari cercanaufraghi di tutte le navi e i mezzi di soccorso, centinaia di testimoni e di soccorritori non riescono a trovare un traghetto con una stazza di 6200 tonnellate, lungo 131 metri e largo 20, con una capacità di carico di 1500 passeggeri più 360 veicoli che brucia come una torcia. La registrazione delle piste audio sul canale 16 evidenzia che solo alle 23:26 si ha il primo avvistamento da lontano della seconda nave: “quell’altra è laggiù a dritta che già in fuoco… in fiamme…”.

Ore 23:30 secondo avvistamento sempre da lontano: “Umberto, guarda sulla prua a sinistra, qui a sinistra… c’è una nave che ha preso tutta fuoco…”. Ore 23:32 i rimorchiatori comunicano di dirigersi verso la seconda nave (ancora non si sa che è il Moby) e Superina risponde che “ho 82000 tonnellate di greggio, tenete presente anche questo, comunque vedete voi…”. Ennesima conferma che l’attenzione dei soccorsi è incentrata unicamente sulla petroliera, visto il rischio che il greggio contenuto negli altri serbatoi scateni una esplosione devastante. Ore 23:32:49: Rimorchiatore: “E li stanno morendo delle persone, Comandante; d’altronde… comunque ci rimane l’altro rimorchiatore da lei e sta arrivando anche il Tito Neri II… Un altro rimorchiatore”.

Intanto, due ormeggiatori: Walter Mattei e Mauro Valli, decidono di prendere il mare senza attendere il coordinamento dei soccorsi e – in ascolto sul Canale 16 – sentono che “una nave in fiamme si sta avvicinando alla petroliera”: è la Moby che, nel suo girotondo mortale, sfiora due volte la fiancata della Abruzzo, ma ancora nessuno lo sa. A questo punto gli ormeggiatori, anche se privi di strumentazione, si mettono alla ricerca a vista e finalmente trovano la Moby Prince. E’ avvolta dalle fiamme. Lo segnalano via radio. Alle ore 23.45 l’avvisatore marittimo chiese agli ormeggiatori: “Sai mica dirmi il nome della nave?”. Ce n’è una sola che è salpata nei minuti precedenti e una sola che manca all’appello, ma la confusione è grande. Ore 23:45.16. “Non vedo nulla – dice l’ormeggiatore – dalla struttura mi pare un traghetto, mi pare… però non ti so dire di più”. Pochi secondi dopo – ore 23:45:33 – passa a poppa e riesce a distinguere il nome sulla fiancata: “La nave è il Moby Prince, Moby Prince!”.

A poppa vedono un marinaio aggrappato alla balaustra. Lo incitano a gettarsi in mare, ma ha paura: il mare è nero come l’inchiostro. Poi si convince, salta e viene subito ripescato. Si tratta del mozzo Alessio Bertrand. Primo imbarco. Sarà l’unico sopravvissuto della Moby Prince. Avvisano: “Abbiamo raccolto un naufrago. C’è ancora persone sulla nave!” I due ormeggiatori incrociano nella zona ma non trovano altri naufraghi. Poi, ancora: “Ne abbiamo raccolto uno sotto la nave. Ce n’è altri. C’è qui una CP. Ma indugia.” Un mezzo della capitaneria di porto si trova, quindi, sotto nave ma non interviene per recuperare i naufraghi che vedono gli ormeggiatori. E ancora: “Il naufrago ci dice che ci sono altri naufraghi da salvare!”. Ma nessuno da ordini.

Sul Canale 16 a quel punto si sente fischiettare. Poi, in dialetto pugliese: “Hei, del Moby, prendetevela nel culo.”. Nessuno sa chi sia stato. Poi, finalmente, la CP 232 carica a bordo il naufrago prendendolo in consegna dagli ormeggiatori. La nave rimane immobile, senza tentare alcuna azionei di soccorso, per oltre mezz’ora. Infine chiede di rientrare in porto “perché il mozzo sta male”. Accordato. Bertrand testimonierà che il fuoco aveva aggredito il traghetto lentamente, partendo da prua e propagandosi verso poppa. Anche dopo un’ora e mezzo, a poppa del Moby il fuoco era localizzato solo sul ponte superiore, ma non rendeva impossibile la permanenza nella zona sottostante, proprio dove si era rifugiato lui.

NELL’ETERE

Alla stazione di Livorno Radio, da pochi giorni è in corso un progetto sperimentale di registrazione delle comunicazioni sul Canale 16 VHF, che normalmente non lasciano traccia. L’ultima comunicazione con la Moby prima della collisione è delle 22:23:14, due minuti prima dell’impatto. “Moby Prince da Livorno, passiamo a Canale 61 ma ti sento debolissimo, eh?” e, debolissimo: “Moby Prince, ricevuto Livorno”. Al momento dell’impatto il marconista della Prince non è in sala radio. Se lo fosse stato, sarebbe rimasto schiacciato dal mobile con le apparecchiature radio caduto proprio sulla postazione al momento dell’urto. L’unica comunicazione di emergenza viene lanciata dal VHF portatile della plancia pochi secondi dopo l’impatto. Probabilmente nei momenti immediatamente precedenti la deflagrazione degli idrocarburi che hanno investito anche la plancia, il comandante Chessa è riuscito sia a lanciare l’SOS che a ordinare macchine indietro sganciandosi così dalla petroliera ma scomparendo alla vista dei soccorritori per oltre un’ora.

Il perito Ingegner Pauli al processo di primo grado riporta le proprie osservazioni sul fenomeno elettromagnetico che ha impedito a chiunque di udire la richiesta di soccorso del traghetto in fiamme e di salvare i sopravvissuti: “…quella maledetta sera ci fu una propagazione demoniaca e abnorme di quello che è il Vhf. Normalmente il VHF usa le medesime frequenze in tutti i porti perché ha una portata limitata. Per esempio Genova da Livorno di giorno non si sente. La Spezia non si sente. Dalla registrazione quello che appare straordinario è che, quando il Comandante Superina cominciava a strillare come un’aquila, gli hanno risposto da Rimini, da Ravenna, da Oneglia, a parte Les Porquerolles che entrava a cannonate negli apparati. E questa qua era una propagazione abnorme… Quella notte ­– mi consenta una mia valutazione – di normale non c’era niente. Niente c’è stato di normale quella notte. Niente, da un punto di vista meteo-marino e di fatti che poi hanno scatenato questo disastro, che è stato un qualche cosa che succede per la prima volta nella storia della Marina”. Perché le radio non riescono a comunicare quella sera? O meglio, perché si comportano in modo “demoniaco”?

A BORDO

Nessuno dei cadaveri ritrovati sul relitto della Moby Prince presenta lesioni conseguenti ad un evento traumatico, dichiarano i patologi. Tutte le persone a bordo sembra siano stati preparati all’impatto. Inoltre, un centinaio dei 141 a bordo – equipaggio e passeggeri – vengono trovati nel salone centrale: il De Luxe. Tutti vestiti, con i bagagli a mano e con il giubbotto salvagente indossato. Questo significa che c’è stato tutto il tempo di dare l’allarme, raccogliere i passeggeri nel salone centrale e preparare un’evacuazione che non è mai avvenuta. Viceversa, il salone bar di prua, dove molta gente seguiva Barcellona-Juventus al momento dell’uscita dal porto, viene trovato deserto.

L’ESPLOSIVO NEL LOCALE ELICHE

Il perito Alessandro Massari – esplosivista della Polizia Scientifica – trova nei locali motore dell’elica di prua del Moby Prince tracce di esplosivi di uso civile e militare (T4 e Semtex). E anche i segni di una potente esplosione. Secondo gli esperti della Marina militare (Mariperman) lo scoppio sarebbe stato provocato dai gas formatisi in seguito allo sversamento del greggio e al calore dell’incendio. E se avesse avuto un’origine esterna? Il nodo resta comunque irrisolto anche se la presenza di Semtex è un dato oggettivo. E’ noto che per fare esplodere il Semtex occorre un innesco elettrico. A contatto con il fuoco, tutti gli esplosivi plastici – Semtex compreso – non esplodono, ma si limitano a bruciare violentemente.

NEL CAOS

Risulta evidente che i mezzi di soccorso non vengono coordinati, ognuno agisce e prende iniziative per conto suo e spesso non riesce a comunicare con gli altri equipaggi. Ma a chi tocca il coordinamento dell’emergenza? Spetta al comandante della Capitaneria di porto del Porto di Livorno, Ammiraglio Sergio Albanese. Alle 23:08:48 sul Canale 16 viene registrato: “CP 250, accostare in banchina davanti alla capitaneria per imbarcare il comandante” “Roger, arriviamo subito”. Da quel momento sul canale di soccorso non viene registrato alcun ordine collegabile a lui né tantomeno la sua voce. Perché? Basti per tutti la risposta che Albanese riferisce alla commissione d’inchiesta: “Sentivo che la centrale operativa dava a questi mezzi queste disposizioni. E io assentivo nel senso che era giusto che si facesse così”.

Il responsabile delle emergenze, insomma, si limita ad ascoltare la radio e non ha di meglio da dire. Così sta zitto. Siamo un po’ lontani dal “Salga a subito a bordo. Cazzo!” del suo omologo comandante Gregorio De Falco in occasione del disastro della Costa Concordia. La censura della commissione parlamentare è netta: “Durante quelle ore cruciali, prima e dopo il ritrovamento del traghetto, la Capitaneria apparve del tutto incapace di coordinare l’azione di soccorso verso il Moby Prince”. Il senatore Gregorio De Falco, membro della stessa commissione di inchiesta, ha poi puntualizzato che la Marina Militare doveva sostituire il comandante di porto. La Marina Militare, infatti, in quanto superiore gerarchico rispetto alla Capitaneria “ha un dovere di vigilanza, controllo o sostituzione nei confronti dell’inferiore che si dimostrasse non adeguato, non idoneo o inetto. E questo non è stato fatto”.

SULLA 21 OKTOBAR

Il 20 marzo 1991, poco prima del disastro, Ennio Malavasi, Florindo Mancinelli, e Omar Said Mugne raggiungono la 21 Oktobar II ormeggiata nel porto di Livorno. Sono due dirigenti ed il capo stesso della compagnia Shifco, proprietaria della nave e della flottiglia di pescherecci di cui è ammiraglia. Omar Said Mugne e la sua flottiglia sono i soggetti su cui indagano gli inviati del TG3 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin quando vengono assassinati a Mogadiscio esattamente tre anni più tardi, il 20 marzo 1994.

Di questo incontro a bordo della nave italo-somala resta testimonianza nel registro dei permessi di accesso alla struttura portuale di Livorno. Poco dopo, Mancinelli rimane a bordo del peschereccio, ma il resto del gruppo si trasferisce a Reggio Emilia presso l’Hotel Astoria. Gli uomini dell’intelligence militare seguono l’incontro e segnalano che “l’ambasciatore somalo Yussuf Ali Osman, l’addetto militare somalo Mohamed Hassan Hussein e tale Mugne Omar hanno soggiornato presso l’albergo Astoria, di Reggio Emilia, nei giorni 6 e 7 aprile, con partenza il giorno 8 aprile”. “Per il momento non si è avuta notizia dell’incontro dei somali con il Giovannini Giorgio”. Sospettano che il capo della Shifco, l’addetto militare e l’ex ambasciatore siano impegnati nell’organizzazione di un traffico d’armi. Giorgio Giovannini, nominato console onorario per la Jugoslavia e per l’Ungheria dal dittatore somalo Siad Barre, veniva utilizzato da questi per i commerci di armi con la Yugoslavia. Giovannini è legato ad un ufficiale di collegamento, il generale somalo Osman Anaghel, che nel 1991 si trasferirà come ospite in esilio a casa di Giovannini.

Terminali del business somalo l’allora colonnello Osman Anaghel e il fratello del generale Santovito per il quale lavorava come consulente Francesco Pazienza. Quest’ultimo è un consulente Sismi che verrà condannato sia per il crack del Banco Ambrosiano che per i depistaggi della Strage di Bologna. La Procura di Palmi lo sospetterà di trafficare in armi con la Somalia, assieme a Licio Gelli e Roberto Ruppen, procuratore del Governo somalo di Alì Mahdi in Italia e coinvolto nel Progetto Urano (smaltimento di rifiuti in Somalia in cambio di armi) assieme a Giancarlo Marocchino (anch’egli sospettato di essere un trafficante d’armi), il primo a comparire sul luogo del delitto Alpi Hrovatin assieme al colonnello della polizia somala Gafo, amico del generale Anaghel, a sua volta amico e ospite di Giovannini in Italia.

IN CONCLUSIONE

Nonostante tre gradi di giudizio, quello che avvenne in quella limpida notte è ancora oscurato da diversi banchi di nebbia. Per tentare di squarciarli, ci si potrebbe concentrare su queste domande. Quali erano tutte quelle navi e quell’elicottero che non sono stati identificati, e cosa facevano nella rada di Livorno? Perché la Moby Prince ha invertito la rotta e dove stava andando al momento dell’impatto? Come mai Moby Prince e Agip Abruzzo erano circondate da navi militarizzate USA (ufficialmente prima tre, poi sei, poi sette e infine nove) cariche di migliaia di tonnellate di armi e munizioni formalmente destinate alla base di Camp Darby ma che in quella base non sono mai state scaricate? Cosa ha creato disturbi così intensi sia alla radio, che veniva ricevuta a decine di km di distanza ma non da chi era in rada? Cosa è successo anche a ciascuno dei radar della Moby Prince, dell’Agip Abruzzo, del comando di Livorno e di Camp Darby visto che nessuno ha visto niente né prima né dopo la collisione?

Che cos’era e da dove veniva la “strana nebbia” che compariva e scompariva all’improvviso? C’è stata una esplosione sulla Moby Prince prima e indipendentemente dalla collisione? Come mai per ore nessuno ha cercato la Moby Prince? Perché i soccorsi non sono stati coordinati? C’è una relazione fra la riunione sulla 21 Oktobar II e il disastro della Moby Prince? Dove si trovava la 21 Oktobar II la notte del disastro? Come mai, nonostante fosse ferma per riparazioni e priva di metà dell’equipaggio avrebbe lasciato l’ormeggio mentre ufficialmente era impossibilitata a farlo e a navigare? Perché sarebbe stata rifornita di carburante mentre in porto? Come mai non si è indagato a fondo sulle ragioni e sulla natura dei presunti movimenti della nave somala in una notte nella quale si stavano trasbordando ingenti quantitativi di materiale bellico da parte di navi americane?

Qualche anno dopo la magistratura sequestrerà a Francesco Pazienza l’abbozzo di un piano di depistaggio del delitto Alpi Hrovatin (inchiesta in cui sarà difeso dall’Avvocato Carlo Taormina poi presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul delitto di Mogascio). Come mai Pazienza era coinvolto sia nel delitto di Mogadisco che nel traffico d’armi della 21 Oktobar II? Perché nessuno ha indagato sul collegamento fra il delitto Alpi-Hrovatin e la tragedia del Moby Prince? Ancora ce lo chiedono 140 persone morte nella rada di Livorno e due giornalisti morti a Mogadiscio.

 

 

 

 

 

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