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Cosa hanno in comune i musei Santa Sofia di Istanbul e la Rosa del Deserto di Doha

Due importanti musei del Vicino Oriente, entrambi contraddistinti da un forte valore rappresentativo, occupano, anche se per ragioni diverse, la cronaca di questi giorni: il museo di Istanbul, ricavato all’interno del complesso di Santa Sofia, è interessato dalla proposta di restituirlo alla precedente, ma non originaria, funzione di moschea; il nuovo museo di Doha nel Qatar, opera imponente, costruttivamente sperimentale, dell’architetto francese Jean Nouvel, è stato inaugurato il 28 marzo 2019, dopo 18 anni di cantiere.

Il carattere simbolico dei due edifici differisce profondamente. Il primo identifica la vera icona religiosa di Istanbul, sempre testimone, a partire dal 562, anno della sua fondazione, del culto ufficiale, dapprima Greco-Ortodosso, poi Cattolico latino, infine Musulmano. Solo dopo il 1935, con la costituzione della Repubblica di Turchia, il primo Presidente Kemal Atatürk decise di sconsacrarlo per destinarlo a museo della città. Il secondo, il museo di Doha, esprime un valore completamente diverso: si ispira alla forma di una rosa del deserto che, resa gigante, ma non alterata nella sua composizione, proietta nello spazio i suoi enormi petali color sabbia fino a trasformarli in volumi, capaci di ospitare grandi ambienti espositivi.

La personalità del museo di Istanbul si affida alla solidità di una storia sedimentata che raccoglie e sintetizza tutte le vicende di una città, sempre al centro del confronto tra la cultura dell’Occidente e quella dell’Oriente. Anche nel museo di Doha permane la sedimentazione: non della storia, bensì dei cristalli che, solo in determinate condizioni ambientali, vanno a raccogliersi in una combinazione geometrica unica e irripetibile. Entrambi i temi, sia il cambiamento di destinazione d’uso che la composizione di forme organiche, hanno precedenti illustri. Il Louvre, l’Ermitage, ma anche il Pantheon sono diventati luoghi di esposizione solo dopo aver perso la loro funzione originaria, ma non il valore della loro storia, trasferendo in tal modo alle opere contenute il prestigio della loro architettura. Nell’epoca moderna e contemporanea, quando il museo ha raggiunto l’autonomia tipologica di edificio istituzionale, il ventaglio degli attributi connotativi si è molto ampliato, raccogliendo sempre nuove fonti di ispirazione. Le forme della natura e le composizioni organiche sono diventate ricorrenti: la grande conchiglia di Wright sulla Quinta Strada a New York o le forme lievitate di Gehry a Bilbao sono l’espressione e il linguaggio di una ricerca di suggestioni che scopre nel fuori scala uno dei modi per catturare la curiosità del visitatore.

Questi due musei orientali, così profondamente diversi, sembrano completarsi reciprocamente, raccogliendo la storia e la natura di un’area estesa, ma densa di affinità culturali, religiose e fisiche, fino al confronto, soprattutto a Doha, tra le zone desertiche e il mare. Hanno inoltre in comune la grande dimensione, fattore non secondario per esercitare un forte richiamo. Chi si avvicina al Bosforo è catturato dalla forma di Santa Sofia che, sebbene aggredita nei secoli da ricorrenti terremoti, continua a proporsi con la sua inconfondibile cupola ribassata, richiamo generoso e accogliente per tanti turisti. Il Museo di Doha, troppo recente, non può ancora essere considerato un simbolo che durerà nel tempo come gli altri musei, collaudati da una storia densa e stratificata. Rispetto al panorama di forme alquanto discutibili che danno vita alle opere recenti costruite negli Stati del Golfo, questo edificio contiene un’eleganza naturale e, nonostante le esagerazioni dimensionali, si armonizza con le forme e i colori del terreno.

Santa Sofia e la Rosa del Deserto esprimono entrambe un’architettura di qualità e questo, ne sono convinto, è il miglior richiamo per accelerare il ritorno dei turisti in un’area che, invece, negli ultimi anni in molte zone ha generato insicurezza e preoccupazione. La loro forza evocativa è talmente palese che tenderà sempre più a imporsi e ad assorbire così tanta curiosità da far scivolare in secondo piano anche la qualità delle opere contenute.

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