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La solidarietà del Papa verso i migranti, tra morale e politica

migranti

Il Pontefice torna costantemente sul tema dei migranti e invita ad aiutare i Paesi di provenienza; a costruire ponti e non muri; a non chiudere le frontiere terrestri e marittime; a non lasciar affogare le persone in mare; a combattere la xenofobia; a distribuire in tutta Europa i migranti che un Paese non è in grado di accogliere.

La valenza morale di tali indicazioni è indubbia, fondandosi sulla solidarietà umana alla base del cristianesimo, sull’amore verso il prossimo, sul rispetto della dignità di ogni uomo. Un nucleo di umanesimo cristiano sul quale poggia la civiltà occidentale.

Il cristiano non può restare indifferente agli appelli del Santo Padre, ma si trova in una situazione non facile rispetto al suo essere un fedele e un cittadino. Può trasferire le opzioni indicate dal Papa sul piano politico, sostenendo un’accoglienza umanitaria indiscriminata, indifferente alle implicazioni negative di una presenza massiva sul territorio di persone non adeguatamente integrabili o comunque irregolari; e disinteressandosi delle conseguenze per lo Stato e per la collettività, in termini di sovranità, legalità, sicurezza, stabilità socioeconomica.

Oppure può tenere distinti gli ambiti religiosi e laici, operando una mediazione tra appartenenza religiosa e civile, per cercare soluzioni che coniughino i principi umanitari con i valori e gli interessi della società. In questo secondo caso diventa fondamentale comprendere le implicazioni sociopolitiche delle affermazioni del Papa.

Secondo il Pontefice, un modo per affrontare il problema delle migrazioni è quello di aiutare i Paesi da dove i migranti vengono. L’approccio è corretto, perché è indispensabile incrementare la cooperazione internazionale allo sviluppo, per ridurre le situazioni di sofferenza dei Paesi più poveri e quindi le partenze verso l’Europa.

Nel contempo va però considerato che le migrazioni, legate al differenziale economico e demografico tra nord e sud del mondo, hanno una dimensione di massa e solo in parte possono essere contenute con l’aiuto ai Paesi di provenienza. Un piano Marshall per l’Africa è sempre più necessario, ma comunque bisogna gestire una pressione migratoria che permarrà nel tempo.

Il Papa ha poi chiesto ai governi europei una sostanziale apertura delle frontiere (“ponti non muri”). In proposito va osservato che un’apertura indiscriminata delle frontiere comporterebbe un incremento esponenziale degli arrivi, incompatibile con le possibilità di integrazione e quindi destinato a produrre situazioni di emarginazione e illegalità. Rispetto a tale evidenza, Bergoglio non invita a porre un limite agli arrivi e, a fronte dell’impossibilità per un Paese di accogliere tutti, ritiene che in tal caso “c’è l’Europa per distribuire i migranti”.

Ma tale prospettiva contrasta con la realtà delle regole europee e delle politiche di molti Stati, e mette in discussione gli equilibri socioeconomici dell’intera Europa, inevitabilmente scossi da migrazioni di massa prolungate nel tempo. Il che, per un cristiano attento anche al destino dell’Europa e del Paese in cui vive, costituisce una prospettiva preoccupante e induce a valutare la preordinazione di un limite agli arrivi, in modo da conciliare la solidarietà umana con le possibilità di accoglienza e integrazione, oltre che con la legalità.

Il Pontefice chiede inoltre di “non lasciare affogare i migranti in mare”. Sul punto va considerato che le morti in mare sono connesse solo in parte ai naufragi di imbarcazioni che tentano di arrivare direttamente in Europa; mentre nella maggioranza dei casi si tratta di affondamenti di gommoni e barconi in pessime condizioni, predisposti dai trafficanti solo per portare i migranti in alto mare, per farli soccorrere e trasferire in Europa.
Questo significa che l’aumento dei flussi migratori irregolari comporta un aumento del rischio di naufragi; che far stazionare navi al largo della Libia per “non lasciare affogare i migranti in mare”, comporta un’incentivazione dei flussi migratori e del rischio di naufragi nel tragitto da terra ai limiti territoriali delle acque libiche; che è necessario spostare i movimenti migratori dai canali illegali ai corridoi umanitari. Insomma, che la salvaguardia delle vite in mare, anche per un cristiano, non si concilia con il supporto di fatto ai flussi migratori illegali gestiti dai trafficanti.

Il Santo Padre denuncia infine l’espandersi di una mentalità xenofoba in Europa, caratterizzata da chiusura e ripiegamento su se stessi. In merito va rilevato che la xenofobia esiste e va contrastata in ogni modo ma che il rapporto critico tra popoli europei e immigrazione irregolare di massa non discende di norma da mentalità xenofobe, bensì dalla preoccupazione per l’arrivo di migranti in numero tale da non consentire l’integrazione e produrre emarginazione e illegalità.

Questo comporta, anche per un cristiano, il riconoscimento del grande valore dei migranti per la civiltà occidentale, ma nella misura in cui possano alimentare una serena e costruttiva convivenza, inserendosi nel mondo del lavoro legale e disponendo di adeguate abitazioni, per evitare l’insorgenza di situazioni di conflitto oggettivo e non xenofobo.

In definitiva, le parole del Santo Padre diffondono un grande messaggio morale e umanitario, che impone attente riflessioni e scelte ponderate alle coscienze dei cristiani. Nello stesso tempo, tuttavia, la loro impostazione influisce sull’analisi del fenomeno migratorio e porta a trascurarne le implicazioni socioeconomiche.

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