Skip to main content

Chi sono i pirati italiani che si presentano alle elezioni europee

Diana Bargu partito pirata

Si chiama Partito Pirata e proprio negli scorsi giorni ha presentato la sua lista per le prossime elezioni europee. Nato nel 2006 in Italia (il primo Partito Pirata nasce in Svezia, poco prima di quello italiano e sulle stesse premesse), e presente in molti Paesi europei, si presenta quest’anno per la prima volta come forza alternativa a tutte quelle già presenti, con una proposta politica che mette al centro lo scontro tra società dell’informazione e società della conoscenza, diritti digitali e democrazia liquida.

Formiche.net ne ha parlato con Emmanuele Somma, candidato del Partito Pirata e militante dal 2011, per capire quali siano i prossimi passi di questa forza già radicata in altri Paesi (22 parlamentari in Repubblica Ceca, sindaco di Praga, 15 parlamentari in Islanda e diversi nei lander tedeschi). “La nostra idea di lista si basa sui temi digitali, non tanto per contrastare il Movimento 5 Stelle quanto per cercare di mettere di nuovo al centro i temi del digitale e del confronto che adesso sta diventando abbastanza rilevante tra la fine della società dell’informazione e i primi vagiti della società della conoscenza”.

Che cosa è il Partito Pirata e perché si presenta ora in Italia?

Il Partito Pirata in Italia si presenta alle elezioni europee di quest’anno con un’idea che potremmo definire antica, che abbiamo confermato sia nella scelta dei capilista che come campagna principale, ossia quella di Luigi Di Liberto, il pirata italiano della piattaforma TNTVillage (una piattaforma di condivisione di contenuti senza scopo di lucro), ossia la sua disobbedienza civile nei confronti del copyright, che è poi il tema su cui nacque il Partito Pirata svedese con la mobilitazione per piratebay. C’è una differenza sostanziale, però, con il caso svedese, perché la posizione di Di Liberto è una posizione con del buon senso.

Ci spieghi meglio.

Di Liberto non contesta il fatto che gli autori debbano guadagnare, anzi, ma sostiene che questo guadagno non si può estendere fino al punto in cui blocca completamente la circolazione della conoscenza. Non si può completamente fermare la diffusione della conoscenza per oltre una vita umana. Quindi la sua proposta è che dopo 5 anni, o un tot di anni da decidere in modo comune, fermi restando tutti i diritti degli autori e degli editori ad utilizzare economicamente e commercialmente il materiale, la condivisione privata e senza scopo di lucro – che è quello che fa TNTVillage – debba essere libera. Anche gli altri capilista rappresentano sostanzialmente questa frattura che noi vediamo, che pone il Partito Pirata davvero come alternativo a tutti gli altri. Eventualmente di stretta minoranza, però come antagonista rispetto a tutti i partiti, che siano piccoli o grandi, che invece si basano profondamente sull’idea di informazione come propaganda. Il Partito Pirata sostiene che esista qualcuno – che noi indichiamo come lavoratori della conoscenza – che sta facendo un lavoro importante per superare la società dell’informazione, che poi è la società che ha dato i natali a tanti aspetti negativi.

Mi fa un esempio?

Noi crediamo, ad esempio, che le fake news siano insite nel modo con cui si fa informazione e propaganda attualmente. È difficile sostenere che, come ha fatto la stampa italiana sulla recente battaglia sul copyright, loro rappresentino la libertà di informazione. Non è un caso che Radio Radicale, ad esempio, chiami la sua rassegna stampa della mattina chiamandola “Stampa e regime”. Forse l’errore, viste anche le recenti vicende che coinvolgono proprio Radio Radicale, è che ha messo una congiunzione e non un verbo essere, “Stampa è regime”. Noi troviamo proprio in questo, in questa frattura, il motivo per la presentazione della lista. Esiste chi, ostentando di portare in Italia la società della conoscenza, sta abusando dell’informazione per diventare poi parte del regime.

Nel programma del Partito Pirata si parla anche di democrazia diretta. Come si differenzia dalla democrazia diretta di cui si sente parlare ormai spesso, grazie al Movimento 5 Stelle?

Nel programma del Partito Pirata si parla di democrazia liquida, che è una cosa un po’ diversa. Quello che io vedo è che il Movimento 5 Stelle ha fatto propri tutta una serie di temi e di controtemi, dicendo un po’ tutto il contrario di tutto e adesso i nodi stanno venendo al pettine, così come avviene quando ci si deve confrontare con la realtà. Nel caso della democrazia diretta, se la sua rappresentazione è quella che noi vediamo su un sistema come Rousseau ci rendiamo conto che è molto lontano sia dall’essere diretta che democratica. Il problema della democrazia diretta nell’ottica grillina è: da chi viene diretta?

Invece per il Partito Pirata?

Nel caso del Partito Pirata è una proposta di democrazia liquida nella strutturazione interna. Si vuole immaginare di superare anche le strutture istituzionali, ma non facendo finta che non esistano, bensì evolvendole. Democrazia liquida vuol dire che ogni cittadino dovrebbe essere in grado di decidere se agire direttamente e quindi fare proprie le mozioni che vengono inserite nel sistema interno di democrazia che si chiama LiquidFeedback, oppure delegare qualcuno di cui si ha fiducia. È una via di mezzo, diciamo così, tra la democrazia rappresentativa e quella diretta, che però si basa sulla consapevolezza della persona che sta lì dentro, che può sia delegare sia avocare a sé quella delega, cosa che in un sistema come Rousseau non è possibile. Anche perché gli aspetti prettamente tecnologici valgono poco in un sistema in cui la sostanza politica non c’è o se c’è è ampiamente distorta, l’abbiamo visto con la domanda sul caso Diciotti che coinvolgeva Matteo Salvini.

Insomma, non è una vera e propria democrazia diretta?

Come mi è capitato di dire anche altrove, loro vivono la democrazia diretta come rappresentazione, come se fosse uno show da mostrare all’esterno. Diverso è volere prima interiorizzare e poi eventualmente esportare e confrontare con gli altri la possibilità di trovare altre forme di aggregazione che non siano semplicemente quelle della democrazia rappresentativa, che comunque rimane di fatto un faro della Costituzione, dello Stato di diritto e della democrazia. Non ci si può certo girare attorno.

Tornando invece alle prossime europee, c’è uno scoglio da superare, che è la soglia del 4%. Puntate a superarlo o ad andare oltre?

È difficile dirlo in una situazione come questa, perché in Italia la società dell’informazione non aiuta le nuove forze che si presentano. C’è una sorta di esclusione diretta dai mezzi di comunicazione in generale, in particolare da quelli grandi come la televisione. Per di più nei sondaggi non veniamo neanche citati. La nostra presentazione si basa su un’idea diversa di politica, noi vogliamo proporre una forza per quelle parti della società che ora non si vedono rappresentate in nessuna delle fazioni in gioco in questo momento e che non si rassegnano al fatto che la politica sia solo una guerra tra le varie fazioni. La nostra presentazione alle elezioni può valere anche un 4%, perché la situazione attuale vede M5S in caduta libera, l’astensionismo molto alto, e senza dubbio nessuno che raccolga il voto autenticamente di proposta. Siamo sotto al cielo. Il vero problema sarà bucare il mondo dell’informazione, far sapere che esiste una lista che si presenta.

Immaginando che questa soglia venga raggiunta e superata, con chi state dialogando per la formazione di un gruppo politico nel Parlamento europeo?

Il Partito Pirata è un partito federalista europeo composto da diverse anime. Storicamente il Partito Pirata è un partito fortemente europeista ma con la concezione di un’Europa diversa. Attualmente si tratta di un’Europa intergovernativa con poca possibilità di dialogo e non esiste una rappresentazione dei cittadini a livello di Stato federale europeo. Per quello che riguarda i gruppi, personalmente a livello italiano non ci siamo posti il problema perché quando si è in campagna elettorale siamo tutti in competizione, ma storicamente abbiamo consonanze con i gruppi progressisti verdi con cui molte idee sono vicine: una gestione più oculata delle risorse del pianeta e digitali.

Chi sono i vostri capilista?

Abbiamo scelto tutti candidati con storie particolari, a partire da Luigi Di Liberto di cui ho parlato sopra, poi Luigi Gubello (il white hat che aveva “bucato” Rousseau, segnalando le falle del sistema), Stefania Calcagno, una delle prime hacker italiane. Poi c’è Maria Chiara Pievatolo, professoressa di filosofia politica all’Università di Pisa, una delle grandi menti italiane sui temi dell’open access, Diana Bargu (nella foto), la più giovane candidata delle liste pirata. È una lista molto varia di persone che hanno voluto testimoniare il fatto che la conoscenza è il primo bene che dobbiamo riconquistare e molte battaglie del futuro si basano proprio su questo.

Quali sono i prossimi passi del Partito Pirata?

Oggi abbiamo presentate le liste, però non è la fine della storia. A parte qualche errore formale che può capitare, c’è un problema sostanziale: non abbiamo presentato le firme, perché il Partito Pirata ha goduto di quella interpretazione per cui un partito politico, un simbolo politico già presente nel parlamento, poteva evitare di presentare le firme a sostegno delle liste. Siamo abbastanza confortati da una sentenza del 2014 che rispetto alla presentazione dei Verdi italiani, pur non avendo un partito all’interno del Parlamento italiano, si presentarono con riferimento al Parlamento europeo, quindi pensiamo di avere tutte le carte in regola per entrare in questa competizione elettorale. Siamo sotto il sole, diciamo. Aspettiamo l’interpretazione delle Corti.


×

Iscriviti alla newsletter