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Due portaerei Usa nel Mediterraneo, un segnale chiaro alla Russia

La scorsa settimana, due portaerei statunitensi, la “USS Lincoln” e la “USS Stennis”, sono entrate con i relativi gruppi da battaglia nel quadrante mediterraneo. Uno schieramento insolito, che gli americani hanno voluto sottolineare. Tanto che (altrettanto insolito), a bordo della portabandiera Lincoln era arrivato anche l’ambasciatore in Russia Jon Huntsman accompagnato dall’ammiraglio James Foggo comandante delle US Naval Forces Europe.

Il 23 aprile, i due leader– uno diplomatico, uno militare – dell’amministrazione Trump sono atterrati sulla portaerei: ad accompagnarli, a bordo del Greyhound della Marina che li ha trasportati sul ponte, alcuni giornalisti. Tra questi, i giornalisti di CNN e di Defense News. Ed è proprio il reporter del sito specialistico a dare una definizione secca del significato dello schieramento: “Consegnare un messaggio severo alla Russia: Fermati”.

Formiche.net aveva già parlato del doppio dispiegamento mediterraneo come di uno degli elementi che dimostrano come Washington avesse riattivato l’interessamento nei riguardi del bacino, anche in chiave anti-Russia (e anti-Cina).

Un’area che ha numerose criticità: dalle tensioni nel Nord Africa, primo su tutti il dossier libico, fino alle intense dinamiche geopolitiche della fascia orientale, dove c’è un allineamento di amici e rivali americani attorno ai ricchi reservoir energetici nascosti sotto quei fondali; e poi resta vivo il fronte siriano (diventato da tempo un fulcro da cui si dipanano meccanismo collegati alla politica internazionale globale: ieri il comandante del CentCom ha detto che gli americani resteranno in Siria per evitare che gli iraniani compiano “azioni pericolose”).

Huntsman, nel comunicato stampa rilasciato dalla Lincoln, spiegava: “La comunicazione diplomatica e il dialogo, uniti alle forti difese fornite da queste navi, dimostrano alla Russia che se cerca veramente migliori relazioni con gli Stati Uniti, deve cessare le sue attività destabilizzanti in tutto il mondo”.

Le dichiarazioni dell’ambasciatore – che ha anche detto che la visita insieme all’ammiraglio Foggo è stata utile per comprendere la dimensione della potenza americana, fattore da spendere nelle relazioni a Mosca – hanno prodotto una reazione dura del Cremlino. Anche perché Huntsman ha definito la Lincoln “100mila tonnellate di diplomazia”.

Il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, l’uomo di punta sul tema del controllo degli armamenti, ha detto di sperare che “la diplomazia del megafono americano non si trasformi in diplomazia del megaton”; una narrazione non nuovissima, Mosca cerca di difendersi dalle accuse di violazioni ai trattati sul disarmo – che hanno portato gli Stati Uniti a ritirarsi dall’Inf – accusando Washington di voler avviare una nuova corsa alle armi. Più aggressiva la portavoce del ministero, Maria Zakharova, che ha ricordato come nella storia le “minacce camuffate da raccomandazioni” contro la Russia si sono dimostrate “futili”.

Bombardamento mediatico sulle televisioni di stato: Huntsman nei panni di Freddy Krueger con portaerei per dita anziché rasoi; derisione per i comportamenti considerati puerili dell’ambasciatore; accuse di voler destabilizzare i preparativi della festa della Vittoria del 9 maggio (queste avanzate anche da Zakharova); passaggi rassicuranti per sottolineare come la Russia fosse disinteressata allo schieramento americano.

Però non è esattamente così, come lo stesso Foggo ha ammesso: stiamo notando una presenza navale russa in aumento nel Mediterraneo, specialmente nella parte orientale, ha detto a Defense News. E non è una novità, ma una costante in crescita dall’annessione della Crimea del 2014. Non va dimenticato infatti che, da quanto la Russia ha illegalmente occupato e poi annesso la penisola ucraina, ha lavorato per la sua militarizzazione.

Il porto di Sebastopoli, un tempo fermo per un accordo con Kiev, è diventato il centro funzionale dell’ammodernamento della Flotta del Mar Nero e della flottiglia mediterranea. Da lì i rifornimenti per la campagna siriana – non a caso partita nel 2015, quando la presenza in Crimea s’era consolidata – vengono traghettati giù per il Bosforo fino a Tartus, porto russo nella provincia di Latakia, cuore pulsante del regime di Bashar el Assad.

Nel 2016, proprio sfruttando l’azione sul fronte siriano, la Russia fu protagonista di uno sgangherato show of force nel Mediterraneo, quando la portaerei “Ammiraglio Kuznetsov” scese da Murmansk per arrivare davanti ad Aleppo. La nave, l’unica nel suo genere a disposizione della marina russa, ha avuto diverse problematiche tecniche, tant’è che durante la rotta segnata dal fumo nero dei suoi motori diesel, è stata più volte trainata dal rimorchiatore di supporto; e due degli aerei imbarcati sono caduti in mare, entrambi durante operazioni di rientro (ora è ferma da più di due anni nel cantiere navale vicino al porto di stanza per lavori che la rendono non operativa fino al 2020/2021).

Tuttavia la portaerei – che tecnicamente lavora più da incrociatore lanciamissili a trasporto aereo – ha avuto un compito di carattere politico. Ha sostenuto la narrativa di forza di Putin, permettendo al Cremlino di dimostrare un impegno nel bacino mediterraneo anche superiore alle proprie possibilità. La nave aveva stazionato davanti alle coste siriane, ma più che compiere operazioni dirette aveva fatto sbarcare alcuni velivoli alla base aerea di Hmeimim, altro centro di comando russo. Poi aveva costeggiato la Libia al rientro, fermandosi al largo di Bengasi per ospitare a bordo Khalifa Haftar, signore della guerra dell’Est libico, che a quei tempi già nutriva ambizioni egemoniche sul paese (quelle dimostrate in questi giorni con l’aggressione a Tripoli).

(Foto: Facebook, USS Abraham Lincoln, le due portaerei nel Mediterraneo)



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