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Dov’è finito il Salvator Mundi di Leonardo?

Splash. Una sirena a Manhattan? No, il tuffo, perlomeno simbolico, sarebbe quello del Salvator Mundi, attribuito a Leonardo da Vinci, nelle acque del Golfo Persico. È con un filo d’ironia che, a partire dal titolo, il New York Times commenta l’ultimo update relativo all’enigmatica tela attribuita al genio italiano che, con buona pace dei 500 anni dalla sua morte che cadono proprio quest’anno, non smette di far parlare di sé attraverso una spy story a sfondo artistico capace di superare la fantasia di qualunque giallista.

Il Salvator Mundi sarebbe scomparso, titola il Nyt. “Impossibile localizzarlo” aggiunge il quotidiano americano. “È una notizia tragica”, ha commentato Dianne Modestini del New York University’s Institute of Fine Arts e restauratrice, tra i pochi che hanno avuto l’opportunità di toccare il “Salvator Mundi”, lavorando al suo restauro: “È profondamente sleale privare gli amanti di Leonardo del piacere di vedere l’opera”. Fortemente scosso anche lo storico dell’arte britannico Martin Kemp, secondo cui il Salvator Mundi è “una sorta di versione religiosa della Gioconda di Leonardo”. Che senso avrebbe, in effetti, per un museo come il Louvre di Abu Dhabi, appena decollato, privarsene proprio quando la cifra tonda della morte assicura al marketing un volano straordinario?

Difficile rispondere. Intanto, si registra il “No comment” dell’ambasciata saudita a Washington, che avrebbe declinato l’invito a dichiarazioni sul caso, così come il Dipartimento della cultura di Abu Dhabi. Di certo il Salvator Mundi è il Cristo dei primati: ad oggi, sarebbe l’opera d’arte più cara al mondo, battuta all’asta nel novembre 2017 per ben 450 milioni di dollari. L’acquisto ha avuto luogo niente meno che nel “sancta sanctorum” degli incanti internazionali, vale a dire da Christie’s di New York, of course. Mentre l’acquirente, secondo lo stesso New York Times che per primo ha dato la notizia, sarebbe stato il giovane principe saudita Bader bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan al-Saud. Bader avrebbe agito per conto di Mohamed Bin Salman, principe ereditario saudita, in favore dell’omologo emiratino Bin Zayed. Il dono o l’acquisto per conto terzi, resta ancora da capire, era destinato al nuovissimo Louvre di Abu Dhabi, frutto di una joint venture economico-culturale con Parigi e opera dell’artista Jean Nouvel, archistar tra le più quotate al mondo.

Di fronte a un caso così intricato non resta che aggrapparsi alle poche certezze che restano, visto che (neanche fossimo nella commedia dell’assurdo), neppure la paternità dell’opera è assicurata. La prima certezza è l’autorevolezza del mezzo, il Nyt, che comunque vada, fa sempre notizia. Nulla si sa della gola profonda che avrebbe sussurrato all’orecchio di David D. Kirkpatrick, già corrispondente dal Cairo ed esperto di questioni mediorientali. Ma il titolo del prestigioso quotidiano americano è bastato a rimettere in moto la vorticosa macchina delle supposizioni.

La seconda è che uno dei protagonisti del giallo, Bader bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan al Saud, legatissimo alla famiglia reale saudita, forse deve proprio all’acquisto dell’opera la sua fulminante carriera istituzionale. Diventato ministro dopo appena due mesi dall’acquisto, l’attivissimo Bader è apparso nelle ultime settimane anche agli onori delle cronache nostrane quale interlocutore saudita dietro “all’Opa”, al momento congelata, sulla Scala di Milano (di mezzo ci sono due interrogazioni parlamentari, la netta opposizione del vicepremier Matteo Salvini e del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana). Di certo si parla molto di lui nelle ultime settimane, non solo per i nuovi accordi firmati a Parigi con la direttrice dell’Unesco Audrey Azoulay, ma anche per la recente idea di una “cittadinanza culturale” con cui attirare artisti internazionali a Riad.

La terza certezza è la temperatura elevatissima della patata bollente, soprattutto negli Emirati. Solo qualche settimana fa, Manuel Rabaté, direttore della nuova sede museale di Abu Dhabi, aveva detto in un’intervista al Corriere della Sera che il Salvator Mundi non apparteneva al museo e che la decisione di esporlo non spetta a loro, “ma al Dipartimento della Cultura e del turismo di Abu Dhabi”. Come ha dichiarato Vittorio Sgarbi sull’opera: “C’è un vento sfavorevole che induce a farla dimenticare piuttosto che a farla ricordare”. Ancora una volta, resta da capire quale sia il motivo.

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