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Salvini l’amico di Israele attaccato da Haaretz sul 25 Aprile

Il giovane giornalista David Lerner – figlio di Gad -, in un’analisi pubblicata sul quotidiano online della celebre testata Haaretz, afferma come Matteo Salvini non avrebbe partecipato ai festeggiamenti del 25 aprile perché “non in grado di condannare il passato antifascista dell’Italia”. A sostegno della sua teoria, oltre alla scelta del vicepremier di non partecipare alle commemorazioni di quest’anno, ci sarebbe anche un episodio accaduto durante l’ultimo viaggio del leader della lega in Israele, in occasione del quale un giornalista della medesima testata aveva formulato una domanda molto particolare. Di fronte al Kotel il sito religioso più importante per il credo ebraico, l’intervistatore chiese al leader della lega di “definire il fascismo come il male assoluto”, alla stregua di quanto fatto da Gianfranco Fini anni addietro. “Tutti i totalitarismi sono cattivi”, una risposta a detta di Haaretz “ambigua” e che, da sola, sembra volersi fare carico di reggere la teoria delle eventuali simpatie ‘fasciste’ del Ministro dell’Interno.

UNA FESTA NON PRIVA DI SCONTRI

Come ogni anno, le celebrazioni del 25 Aprile sono state, per diverse Comunità ebraiche ma in particolar modo per quella di Milano, caratterizzate da contestazioni seppur non fisiche, verbalmente molto violente. “Fuori i sionisti dal corteo” e “Israele stato di assassini”, sono solo alcuni degli insulti ricevuti non certo da un gruppo di soldati israeliani, bensì da ex partigiani e sostenitori della brigata ebraica, un corpo militare presente in tutta Europa che operò contro i nazifascisti. Nonostante l’acrimonia tra diversi partecipanti, alcuni più e alcuni meno legittimati a partecipare alla stessa (per mere ragioni di alleanza con l’Asse), i cortei che festeggiano la liberazione dalla piaga fascista non hanno mai smesso di essere tenuti, anche con il rischio talvolta di trasformarsi in “derby” (parola utilizzata anche da Haaretz come critica verso il ministro dell’Interno) di insulti e discriminazione, non di rado ai danni dei gruppi ebraici.

PIÙ VERITÀ E MENO INTERPRETAZIONI

Se c’è chi ancora aspetta una spiegazione circa la mancata presenza di Matteo Salvini alla cerimonia che si è tenuta a Roma presso la Sinagoga di via Balbo, dove il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il ministro della Salute Giulia Grillo e il presidente del World Jewish Congress Ronald Lauder hanno reso omaggio alla memoria della Brigata Ebraica, meno dubbi circondano la posizione del leader della Lega nei confronti dei fenomeni del nazifascismo e della Shoah. In primo luogo, durante la conferenza stampa tenutasi al Viminale il 24 aprile, il vicepremier ha augurato in merito ai cortei “che non ci siano attacchi squallidi, ipocriti e vigliacchi da parte dei sedicenti eredi dei partigiani nei confronti delle brigate ebraiche”, manifestando dunque un evidente interesse alla stessa Brigata Ebraica.

Questa manifestazione di vicinanza non è neanche la prima proveniente da Salvini, in quanto a Pontida il 25 aprile del 2017, il leader della Lega aveva già rimarcato il proprio supporto a questa compagine, appoggiando, di fatto, una brigata antifascista. A dissipare ogni perplessità in tal senso dovrebbe essere sufficiente la conferenza stampa tenuta al commissariato di Corleone a Palermo, quando il ministro dell’Interno, smentendo con anticipo le accuse a lui dirette dal giornalista di Haaretz, ha affermato “l’olocausto è stato il più grande crimine contro l’umanità” e “voglio liberare il Paese da tutti gli estremismi”, ovvero “nazismo, fascismo e comunismo”. Oltre a questo, Salvini ha anche evidenziato: “l’antifascismo è un valore fondante della Repubblica? Si”, un’affermazione forte e diretta, totalmente distante dall’ambiguità di cui sarebbe accusato. Insomma, se in chiusura del pezzo Lerner afferma: “se Salvini non è stato nemmeno capace di condannare il passato fascista dell’Italia mentre si trovava in Israele, è improbabile che lo possa fare mai”, è evidente che, invece, la condanna al passato fascista dell’Italia non solo è arrivata da parte dei vicepremier, ma arriva ormai da diversi anni senza che i critici più accaniti se ne accorgano.

SALVINI E ISRAELE, UNA RELAZIONE COMPLICATA?

In una lunga intervista rilasciata ai microfoni del Washington Post a luglio, Salvini ha toccato un tasto particolarmente dolente dei rapporti tra le due Nazioni, affermando di essere favorevole al riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Non a caso, Salvini ha visitato Israele in più di una occasione, ben prima di assumere la carica attuale, e evidenziando in ogni occasione i rapporti positivi intrattenuti con il governo di Benjamin Netanyahu. Come raccontato anche da Formiche, il vicepremier ha definito Israele un modello di “convivenza, integrazione e serenità” che va “difeso e sostenuto”, sottolineando in più di un’occasione una forte sinergia con il leader del Likud. Lo stesso Haaretz, che non ha risparmiato critiche neanche per il neoeletto al governo di Gerusalemme, ha riferito che anche Netanyahu ha definito Salvini un “grande amico di Israele”, in particolare a seguito delle critiche del vicepremier nei confronti dei tunnel costruiti dalla milizia terroristica (giudicata tale dall’Unione Europea) di Hezbollah.  E se, come ha scritto in una nota la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, “le affermazioni del ministro relative alla sicurezza di Israele, alla qualificazione di Hezbollah come gruppo terroristico, alla partigianeria delle organizzazioni internazionali e dell’Unione europee nei confronti dei palestinesi, così come per i fondi investiti in modo ‘distratto’ nei territori” non hanno lasciato indenne il Ministro dell’Interno da “critiche sia da parte di alleati di governo sia dei suoi diretti sostenitori”, appare evidente come non solo non ci siano particolari “ambiguità” circa la posizione del ministro dell’Interno sulle questioni sollevate da Haaretz, ma che siano proprio posizioni decise come questa a far emergere con più enfasi le divisioni che caratterizzano le due forze politica di maggioranza.


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