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Salvini contro Mare Jonio, ma sui porti resta la spaccatura nel governo

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La Libia, l’immigrazione, i rischi per il terrorismo e le polemiche politiche interne sono gli ingredienti di un’altra giornata convulsa nella quale le posizioni nel governo restano distinte e distanti: Giuseppe Conte rilancia il rischio foreign fighter e dunque l’obbligo di evitare un’escalation militare in Libia; Matteo Salvini emana una nuova direttiva, specificamente rivolta alla nave ong Mare Jonio, aggiungendo che non si discute proprio di aprire i porti; Danilo Toninelli e altri del Movimento 5 stelle sostengono invece che i porti vanno aperti, anche quelli europei. Considerando che nel frattempo il Tribunale dei ministri di Catania sta indagando per sequestro di persona dopo la vicenda della nave Sea Watch, anche stavolta non potranno vincere tutti.

“FERMATE QUELLA NAVE”

Il presidente del Consiglio da giorni unisce due concetti legati alla guerra in Libia: il rischio di una crisi umanitaria, che per l’Italia e l’Europa significherebbe l’arrivo di migliaia di profughi, e il rischio terrorismo. Conte ha ripetuto che una crisi umanitaria, scontata in caso di prosecuzione del conflitto, può esporre l’Italia e l’Europa al rischio di foreign fighter: sono 20mila gli sfollati a Tripoli e 800mila quelli che potrebbero fuggire secondo il presidente del governo di Tripoli, Fayez al Serraj. Anche il suo vice, Ahmed Maitig, l’ha detto chiaramente nei suoi incontri romani. Nel frattempo Salvini, sempre più deciso a non far sbarcare neanche un migrante sulle nostre coste, ha emanato un’altra direttiva indirizzata ai vertici delle forze dell’ordine e delle forze armate riguardante l’ong Mediterranea Saving Humans, direttiva definita dal Viminale “ancora più stringente e cucita addosso alla Mare Jonio di Luca Casarini”.

Dunque “il comandante e la proprietà” della nave devono rispettare tutte le norme in tema di soccorso in mare, a cominciare dalle prerogative di chi coordina, con evidente riferimento alla Guardia costiera libica visto che nel recente salvataggio la Mare Jonio operò all’interno della Sar libica. In altri termini, non devono entrare navi non coordinate dal centro di soccorso di Roma. Inoltre, dalla Mare Jonio non devono ripetere azioni in contrasto con le norme nazionali e internazionali in materia di soccorso, anche con riferimento alla precedente direttiva che prevedeva il blocco di certe imbarcazioni all’ingresso delle acque italiane. Le forze dell’ordine devono effettuare “ogni possibile forma di notificazione e intimazione agli interessati”. Nella direttiva, pur evitando di mettere nero su bianco presunte collusioni con i trafficanti che però sfruttano certe attività di soccorso, il ministro dell’Interno fa riferimento al rischio di ingresso in Italia di terroristi o comunque di soggetti pericolosi. La direttiva, dicono al Viminale, è spiegata anche con la richiesta francese di prorogare la chiusura delle frontiere con l’Italia per altri sei mesi per emergenza nazionale legata al terrorismo. Non è escluso che si verificherà un altro “casus belli” perché l’ong ha comunicato di aver lasciato Lampedusa in direzione della zona Sar “attribuita alle cosiddette autorità libiche” seguendo “il faro dell’umanità e del rispetto dei diritti umani”.

PORTI APERTI O CHIUSI? DIPENDE

Un approccio opposto nel governo sulle conseguenze del caos libico, e tutto in chiave elettorale, è dimostrato ogni giorno: Salvini dice che potranno indagarlo anche 132 volte, ma i porti resteranno chiusi mentre il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, afferma che in caso di aumento di partenze dalla Libia “è evidente che chiudere i porti italiani non basta più”, li devono “accogliere anche gli altri Paesi europei”. È quell’“anche” che manda in bestia Salvini: se arriveranno altri barconi, magari non di ong, sarà difficile tenere chiusi i porti. Prima o poi, infatti, al governo dovranno sciogliere un grande equivoco: non si può discutere sul fatto che un porto possa essere chiuso solo con provvedimento scritto e motivato del ministero delle Infrastrutture mentre quello dell’Interno può impedire lo sbarco motivandolo. Le direttive di Salvini, mirate esclusivamente alle navi ong, cercano di risolvere il problema ai confini delle acque italiane, ma se in ipotesi un’imbarcazione qualunque salvasse dei naufraghi e chiedesse un porto sicuro attraverso il centro di coordinamento di Roma il mancato sbarco comporterebbe probabilmente un’altra accusa di sequestro di persona. La vicenda Sea Watch sta a dimostrarlo: se il tribunale dei ministri di Catania farà le stesse valutazioni del caso Diciotti, le posizioni di Conte, Toninelli e Luigi Di Maio saranno archiviate e un’autorizzazione a procedere potrebbe essere chiesta solo per Salvini, con un clima politico diverso rispetto a qualche mese fa.

PACE FATTA CON LA TUNISIA

Nonostante la stretta collaborazione per il costante rimpatrio di immigrati irregolari e di soggetti a rischio terrorismo espulsi per sicurezza nazionale, Salvini aveva punzecchiato spesso la Tunisia, colpevole di mandarci “galeotti” e in genere troppi individui nonostante non ci fossero “peste o carestie”. La diplomazia evidentemente aiuta e ora il ministro dell’Interno ha annunciato un servizio realizzato dalle Casse depositi e prestiti e dalle Poste italiane e tunisine, attivo dal 30 aprile, per l’emissione di appositi libretti a risparmio in modo da favorire sia il deposito che il trasferimento di denaro dall’Italia alla Tunisia in modo trasparente. In questo modo si evita l’utilizzo dei money transfer, spesso utilizzati per opachi trasferimenti di fondi anche a fini di terrorismo. Lo stesso servizio sarà presto attivato anche in altri Paesi africani.

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