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Ecco il nuovo report che mette in guardia dal 5G di Huawei

5G, Huawei

La possibilità che Paesi dell’Alleanza atlantica possano adottare tecnologie per le telecomunicazioni made in Cina, in particolare nell’ambito dello sviluppo delle nuove reti mobili superveloci di quinta generazione – il 5G – è sempre più oggetto di critiche e avvertimenti da parte dell’azionista di maggioranza della Nato, gli Stati Uniti, che hanno anche ipotizzato di non poter essere più in grado di scambiare informazioni con le nazioni che si muoveranno in tal senso. Tra Washington e Pechino è in corso un conflitto commerciale e geopolitico a tutto campo, nel quale la centralità è stata assunta proprio dall’elemento tecnologico. Nell’ottica di uno scontro sempre più acceso con quello che le ultime amministrazioni Usa considerano il vero rivale strategico americano, la Repubblica Popolare, Washington sta facendo di tutto per evitare che dati sensibili statunitensi o dei suoi alleati possano finire in mani cinesi attraverso le compagnie del Paese.
In particolare, i due colossi Huawei e Zte (la seconda di proprietà completamente statale) sono sospettate dagli Stati Uniti di costituire un potenziale veicolo spionaggio, soprattutto a causa di un articolo della Legge nazionale sull’intelligence che obbligherebbe le compagnie cinesi a collaborare con le autorità di Pechino.
In un nuovo rapporto realizzato dal Nato Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence (CcdCoe) di Tallin (un centro di ricerca accreditato presso l’Alleanza atlantica ma dalla gestione indipendente), si pone in evidenza come alcuni timori statunitensi non sarebbero infondati.

IL REPORT

Il testo si occupa principalmente dei problemi strategici sollevati dalla potenziale dipendenza di alcuni Stati dalla tecnologia cinese in campo telco.
Intitolato “Huawei, 5G, and China as a Security Threat”, lo studio redatto da Kadri Kaska, Henrik Beckvard e Tomáš Minárik (tre ricercatori del CcdCoe), afferma quanto sia importante esigere la massima sicurezza possibile dalla tecnologia 5G, soprattutto dal momento che la rete verrà utilizzata anche per comunicazioni critiche. La ricerca di una sempre maggiore innovazione tecnologica è, a tal proposito, accompagnata ragionevolmente da preoccupazioni per la sicurezza informatica con implicazioni che circondano il più ampio contesto della sicurezza nazionale. Eventuali perdite di dati, interruzioni di disponibilità – ad esempio nel caso di reti idriche ed elettriche -, integrità o riservatezza nelle reti critiche potrebbero avere delle ripercussioni significative sulla società interessata.

UNA SCELTA STRATEGICA

Il report sottolinea che le scelte che circondano una valutazione serie sull’implementazione del 5G dovrebbero essere inquadrate nel contesto di una scelta strategica, non meramente tecnologica. A tal fine, gli investimenti in ricerca e sviluppo nonché il rafforzamento dell’industria regionale non dovrebbero essere considerati puramente materia inerente di competitività globale, ma di vitale importanze per la loro dimensione di sicurezza.

LE CONCLUSIONI DELLO STUDIO

Lo studio, nonostante non si abbiano ancora evidenze ufficiali di gravi vulnerabilità tecnologiche in specifiche apparecchiature Zte o Huawei (su quest’ultima però il Regno Unito si è recentemente espresso in modo fortemente critico), afferma come sia ancora impossibile escludere i potenziali difetti che potrebbero essere sfruttati in futuro dalla Cina. Gli autori sostengono come siano effettivamente necessarie valide alternative alla tecnologia Huawei, in particolare per preservare la flessibilità di scelta ed evitare di rimanere incastrati in una scelta obbligata dovuta all’esistenza di un singolo fornitore. In sostanza non è importante solo quante vulnerabilità ci siano o come siano impiegabili, ma anche il fatto stesso che ci sia una tecnologia prodotta interamente dalla Cina che può rendere “dipendente” uno Stato che non ne dispone in via indipendente. Procurarsi una tecnologia digitale di così alto livello, secondo il documento, implica un impegno a lungo termine anche di tipo relazionale con un fornitore. Fatte queste premesse, aggiunge il report, il nocciolo della questione che circonda Huawei e Zte è quello di determinare su quale fornitore si possa fare affidamento e su quali meccanismi si possa basare tale fiducia. Le istituzioni, dunque, dovrebbero interrogarsi non tanto e non solo sull’analisi delle vulnerabilità per quanto al momento non conoscibili al 100%, ma sul partner al quale ci si sta affidando. L’ambiente giuridico e politico della Cina, insieme al forte partenariato tra settori pubblico e privato nel cyber spionaggio – evidenziano gli autori – dovrebbero essere le principali preoccupazione. Data l’importanza che circonda l’infrastruttura della sicurezza nazionale, definire una posizione su dilemmi come quello presentato dallo studio è di certo una sfida complessa che implica una comprensione globale di tutti i rischi socioeconomici e di sicurezza, molti dei quali, evidenziano ancora gli autori del report, non possono essere messi in secondo piano dall’appetibilità di una spesa minore.

UN RISPOSTA COORDINATA

Lo studio si conclude con delle raccomandazioni circa una risposta condivisa e coordinata nell’area atlantica e europea. Certamente, afferma il documento, non ci sono risposte facili. Da un punto di vista olistico, il 5G è solo uno strumento parte di una pluralità di altrettanti attraverso il quale Pechino sta acquisendo una posizione dominante negli affari globali. Allo stesso tempo è necessario che l’Occidente mantenga una certa sovranità sul proprio spazio informativo, consapevole dei rischi che circondano l’infrastruttura delle telecomunicazioni e quelli che invece si corrono nei confronti di quegli alleati storici che preferirebbero non condividere informazioni sensibili con chi avrà una rete made in Cina.

LO SCENARIO

Sono stati molti i ‘warning’ statunitensi sul 5G cinese succedutisi nel corso degli ultimi mesi. Uno dei più seri è giunto dal numero uno del Dipartimento di Stato Mike Pompeo.
La risposta degli alleati degli Stati Uniti – Italia compresa – è stata finora differente in ogni nazione. Più di recente la Commissione europea ha pubblicato una Raccomandazione con l’obiettivo di indicare – attraverso una precisa roadmap – un approccio europeo coordinato al dossier, riassumibile in maggiori controlli da attuare in ogni Stato membro e in un più intenso scambio informativo, ma nessun bando delle imprese cinesi, come invece chiedeva Washington.

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