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L’attentato in Sri Lanka dice che l’Iraq non ci ha insegnato nulla

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Oltre ad aver provocato una devastante ecatombe, l’impatto strategico delle stragi islamiche simultanee di Pasqua in Sri Lanka rischia di rappresentare un nuovo terribile esempio di riferimento per il terrorismo. Il timore degli effetti emulativi ha già mobilitato gli apparati di sicurezza e l’intelligence di tutto il mondo. Russia e Cina comprese. La vastità degli obiettivi possibili è tale da rendere essenziale oltre alla sorveglianza e al monitoraggio continui, soprattutto la prevenzione e l’anticipo della scoperta della rete degli attentatori. “La strategia del terrore collaudata a Colombo si basa sulla moltiplicazione degli obiettivi e sulla contemporaneità degli attentati” sottolinea l’editorialista Arduino Paniccia, presidente della Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia e docente di studi strategici.

Cosa cambia nella prevenzione antiterroristica dopo le stragi di Pasqua, come prevenire e soprattutto come interrompere la sequenza degli attentati simultanei?

Non vi può essere vera prevenzione se non vi è vera condivisione all’interno delle strutture di sicurezza e antiterroristiche. È ciò che deve realmente cambiare dopo la strage in Sri Lanka, non solo in Asia ma anche in Europa.

Riguardo gli attentati simultanei, fin dai tempi della guerra in Iraq dove si raggiunse la spaventosa cifra di quasi 500 agguati in un mese, ancora una volta non ci hanno insegnato niente. Basta studiare i contenuti della Dottrina Petraeus e il recentissimo report Usa sulla Iraq War per aggiornare i corsi di addestramento per tutte le forze militari e di sicurezza Ue, sapendo che l’attacco simultaneo è stato uno dei brevetti di Al Qaeda quando l’organizzazione operava in circa 60 paesi del mondo.

Come è possibile che le cellule terroristiche sfuggano a tutti i controlli ?

Il problema dell’Occidente, a distanza di mezzo secolo, è superare la sindrome del Vietnam, dove accadde tutto e si è voluto dimenticare tutto. Ancora una volta in Sri Lanka si è verificato che le autorità locali e i servizi di sicurezza, avvertiti dagli Usa, dagli Indiani e da alcuni Paesi Europei dell’imminenza di un possibile, durissimo attacco terroristico, abbiano ignorato tali alert, nello stesso modo in cui in passato, anche nel vecchio continente, sono stati messi nel dimenticatoio segnali e informazioni provenienti da altri Paesi e, quindi, il primo problema è che il terrorismo si batte esclusivamente se le attività di prevenzione si sommano e non se si suddividono.

È ipotizzabile e in quanti mesi l’emulazione del modello Sri Lanka?

Come si è detto il modello Sri Lanka prende le mosse da quanto già accaduto nelle guerre in medio oriente. La direttrice quindi è Africa- Libia – Europa – Asia sub continentale. Nella fascia Afghanistan, Pakistan, India, Sud Est Asiatico, Indonesia, Filippine, ricordiamolo, vivono circa 800 milioni di musulmani. Comunque gli attacchi di grande portata si ripetono in genere ogni 3 – 6 mesi.

Baricentro mediterraneo dell’antiterrorismo?

La potenza che più ha lottato contro il terrorismo anche sul campo nell’area mediterranea è stata certamente la Federazione Russa, che ha anche rapporti più o meno coperti con la quasi totalità dei paesi arabi, con Al Sisi e con lo stesso Haftar. Non esiste quindi porre freno alla frammentazione e alla rivalità, senza un serio contatto con le strutture di sicurezza guidate da Putin che, tra l’altro, sta vendendo i missili S400 anche alla Turchia, paese oggi epicentro delle rivalità inter-musulmane sunnite.

Attuale situazione dell’assedio di Tripoli e evoluzione dell’attacco di Haftar?

Per dirla in maniera molto diretta, Haftar si è fidato della solita telefonata americana e dei velleitarismi di Macron. Ora è subentrata la fase di stallo, dalla quale si può uscire o con la guerriglia casa per casa a Tripoli, o attraverso un vero negoziato, nel quale il posto dell’Italia è sempre assolutamente rilevante, in quanto in una posizione meno “bruciata” di quella francese, purché ci si decida a riconoscere, insieme alla difesa dei nostri interessi economici, anche un ruolo di preminenza al Generale Haftar e alle esigenze di tipo localistico, quali quelle di Misurata, dove peraltro siamo ancora militarmente presenti.

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